Dev'essere andata più o meno così. Un giorno un gruppo di tizi si sono detti: secondo voi quanta gente totalmente idiota c'è in Europa? Una marea. Non ci credete? Allora che ne direste di organizzare un raduno durante la settimana più fredda dell'anno? E magari anche nel posto più freddo d'Europa? Mmmhhh... e quale sarebbe il mezzo più scomodo per arrivarci? Ma si, la moto! E perché non costringerli a dormire in tenda, questi fessi? Ma si, dai, tenda e sacco a pelo. Gli troviamo una bella area dove sfogarsi e dove non possono distruggere niente e non gli diamo nemmeno lo straccio di un servizio e poi, per vedere se abboccano fino in fondo, per acquisire il diritto a fare tutto questo li facciamo anche pagare, e salato, perdipiù: 18 euro a cranio, che se abboccano in diecimila tiriamo su trecentociquanta milioni, per non parlare di quanto ci sbellicheremo dalle risate a vedere questi poveri disgraziati che si crepano di freddo rotolandosi nel ghiaccio e cercando di strappare un po' di calore al fuoco acceso con la legna che ovviamente gli si vende a caro prezzo.
Diavolo, avevano ragione loro: ogni anno, in diecimila motociclisti convergono fino al confine tra la Germania, la Repubblica Ceca e l'Austria per condividere l'atmosfera di questo assurdo raduno invernale che da quarantonove anni porta il nome di Elefantentreffen. ![]() Il mio Elefante comincia undici giorni prima di quelli di tutti gli altri. Già so che il prossimo fine settimana dovrò lavorare in ufficio a Milano, quindi devo portare su la moto con largo anticipo. E inoltre devo aver preparato tutti i bagagli entro domenica 16 gennaio. Già so che dimenticherò un sacco di cose... Per fortuna la giornata è bella, anche se piuttosto fredda, e il viaggio scorre bene, ne approfitto per collaudare il mio abbigliamento anti-freddo, con mòffole, calzamaglia, pile, sottocasco e ovviamente pantaloni e giacca da moto imbottiti. Il cupolino alto sono stato molto indeciso se montarlo, per questa occasione: è davvero brutto, e fa assomigliare la mia fiera Transalp a uno scooter qualunque. Però in autostrada me lo godo davvero, e sono proprio contento di averlo con me, mi devia tutta l'aria dal corpo limitandosi a spararla all'altezza del casco, evitando di sottrarre calore prezioso. La visiera anti-appannante sul casco fa il suo dovere, sulla Futa la temperatura va sottozero, ma la sopporto abbastanza bene, tranne, inevitabilmente, per le dita delle mani e dei piedi. Non c'è tempo da perdere: mio nonno faceva il capostazione, e per lui la puntualità è una ragione di vita. A casa dei nonni si pranza invariabilmente alle 13 e si cena alle 20. Se non voglio mangiare un piatto riscaldato in solitaria, devo arrivare entro l'una. Sui viali di Bologna impreco ad ogni semaforo rosso, ma ce la faccio ad arrivare nell'abituale via Mazzini 9/3 ( N 44°29.350', E 11°21.541' ) per soli tre minuti, e mi posso godere i tortelli della nonna, che mi riscaldano e mi danno la forza per proseguire alla volta di Milano, stavolta l'obiettivo è arrivare prima che diventi buio.
Incidentalmente, a San Donato c'è il blocco del traffico fino alle venti. Una volta uscito dalla tangenziale aggiro il cartello di divieto e in trecento metri sono a casa. Infilo la Transalp abusivamente nel garage condominiale e me ne salgo a riscaldarmi. Ho percorso 594 chilometri in sei ore e nove minuti, ma la preparazione è appena incominciata. ![]() ![]() Sono giorni frenetici, questi. Mi continuano a venire in mente cose da portare, modifiche da apportare alla Transalp, previsioni meteo da consultare, accordi da stabilire con i ragazzi di sporcoendurista.it. Il tempo libero è ridottissimo, si lavora fino a tardi la sera e mi trovo costretto a rubare il tempo alla pausa pranzo per correre al centro commerciale per comprare l'olio motore, il liquido refrigerante che resiste fino a -40, il silicone spray per proteggere le parti metalliche dal sale delle strade tedesche e, l'ultimo giorno, su suggerimento di Ivan, fino al Carrefour di Assago per comprare le catene da neve spray, un investimento da 16 euro che si rivelerà pessimo al momento della prova. ![]() Ho la casa piena di foglietti sui quali appunto, man mano che mi vengono in mente, le cose da comprare e quelle da fare prima della partenza. Sulla Transalp c'è da raddrizzare la barra paramotore destra (chissà perché tendo a cadere sempre a destra), e il carrozziere dietro casa me lo fa gratis, dopo avermi fatto prendere un bello spavento quando, tirando alla disperata con una leva lunga un metro, cedono le viti e la barra paracarene si ritrova a spenzolare mestamente dal telaio. Le ultime due sere le trascorro a lavare tutta la moto prima di spruzzare il silicone spray. Dannazione, uno non ha idea di quante parti metalliche stanno dentro ad una moto fino a che non deve lavarle tutte, è stato un incubo. Spero almeno che serva a qualcosa. Poi circondo la batteria della moto di pezzi di polistirolo per evitare che mi ripeta lo scherzo di non avviarsi, come già aveva fatto domenica 23, quando per ben quattro volte ho dovuto spingere la Transalp su per la ripidissima rampa del garage per provare ad avviarla a spinta. Rabbocco l'olio motore e il refrigerante, tendo anche la catena che mi sembra un po' lenta e con il filo di ferro preparo il supporto per il GPS che mi ha prestato Enrico. Il serbatoio dello scottoiler, che mi deve garantire una catena ben ingrassata durante tutto il viaggio, è quasi vuoto. Purtroppo ho dimenticato a Roma l'olio adatto, e sono costretto a riempire il serbatoietto con l'unico olio che ho, il costosissimo Sint2000 che ho usato anche come olio motore. Ho deciso che, per la prima volta in un viaggio in moto, non porterò il bauletto con me, ma solo le borse laterali. Durante una fugace incursione a Decathlon (durante la quale mi incontro per la prima volta con Ivan, che dovrà essere il mio compagno di viaggio da Milano) mi privo di ben ottantadue euro, in cambio di un materassino gonfiabile, di una maglietta in micropile, calzini di seta, doposci, scaldini chimici e occhiali da sole. Sono accecato dalla frenesia di avere l'attrezzatura migliore possibile, so già che soffrirò il freddo e voglio minimizzare i danni il più possibile. All'Esselunga faccio venticinque euro di spesa: formaggio, tonno, qualche sacchetto di pasta pronta, stecche di cioccolata, succo di frutta. Aggiungo un pentolino e il mio vecchio fornelletto a gas da campeggio. Ormai i soldi vanno via che nemmeno me ne accorgo. ![]() Seguo assiduamente le previsioni del tempo su vari siti Internet: il 20 gennaio prevedono per sabato 29 una massima a +2° e una minima a -5°. Quattro giorni più tardi weather.com prevede ancora +2°, -4°. La mattina del 27 gennaio le previsioni (su wetter.com) sono in crollo verticale: massima a -7°, minima a -14°. E perdipiù da venerdì a domenica si aspettano nevicate. Nei giorni immediatamente precedenti la partenza prevista si verificano un sacco di inconvenienti. Questo dannato meteo che improvvisamente vira verso il brutto. Lorenzo, da Roma, con il quale avrei dovuto condividere la tenda e i pezzi di ricambio per la Transalp, che si ammala e deve rinunciare a partire. La corriera partita dalla Calabria con il carico di carne e vino che ci sarebbe dovuto servire da sostentamento nei freddi giorni di Solla che rimane bloccata per 4 (quattro) giorni in autostrada a Laurìa per la bufera di neve e non arriva neanche lontanamente in tempo per la partenza del drappello romano, giovedì mattina. Il custode del parcheggio che si accorge della moto parcheggiata di straforo in un angolino e mi costringe a portarla fuori al freddo. E mercoledì mattina mi arriva un SMS di Ivan che ha deciso di partire l'indomani all'ora di pranzo, senza aspettare che io esca dall'ufficio per fare il viaggio insieme fino a Bolzano, a ricongiungerci con il resto del gruppo. Alessandra e Cecilia, che mi invitano alle loro feste di compleanno dei 30 anni venerdì e sabato a Roma, in aggiunta a quella (sempre dei 30 anni) di mia sorella, e con queste fanno tre motivi per essere a Roma nel fine settimana. Se non fosse per tutto l'investimento economico e di energie che ho profuso in questa avventura, verrebbe quasi voglia di rinunciare. Ma questo Elefante l'ho voluto con tutte le mie forze, e andrò avanti fino a che potrò, sperando di avere la forza di spirito di rinunciare se le condizioni dovessero farsi proibitive e pericolose. ![]() La mattina mi sveglio alle sette, non riesco a dormire. Indosso un pigiama felpato, due piumoni e una sovracoperta, la temperatura in casa è di diciannove gradi e mezzo e io HO FREDDO. Come inizio non è molto incoraggiante... Prima di andare in ufficio rimonto le fiancatine della Transalp, che da una settimana erano smontate per la manutenzione e la pulizia. La giornata al lavoro trascorre nella consultazione del forum di sporcoendurista per leggere il resoconto in tempo reale degli SMS che i prodi centuauri in partenza da Roma spediscono via via alla base e ci informano della loro cavalcata trionfale verso il nord. Si ricongiungono al drappello proveniente da Ancona (Palì e Stefano) e a quello di Genova (Roberto e Mauro), e anche a Ivan da Milano, e nonostante la partenza all'alba tra una storia e l'altra non riusciranno ad arrivare a Bolzano prima che faccia buio. Dialogo sul Messenger con Alessandro, il ragazzo di Lecco che negli ultimi giorni ha postato sul forum le sue intenzioni di partecipare a sua volta al quarantanovesimo Elefante, ma è piuttosto indietro con la preparazione dell'occorrente, e perdipiù per motivi di lavoro e di disponibilità della moto (attualmente sotto tagliando) non potrà partire prima di domattina presto. In compenso ha un'ottima e nuovissima BMW 1200 che non dovrebbe dare nessun problema meccanico nemmeno nelle condizioni proibitive che si prospettano per i prossimi giorni. Se non altro è da ammirare per la sua intenzione di rischiare una moto così nuova e costosa in un'impresa come questa ad alto rischio di cadute. Rimaniamo d'accordo che via via lungo il tragitto gli invierò qualche messaggio per descrivergli le condizioni meteo e quelle della strada. ![]() Avevo già deciso da tempo che se ci fosse stata nebbia fitta questa sera avrei rinunciato alla partenza, e di conseguenza all'intero viaggio. Ma sono fortunato, il cielo è limpidissimo e le condizioni sono ideali. Faccio carte false pur di uscire ad un'ora decente dall'ufficio, ma prima delle cinque non se ne parla. Corro a casa e ho già i vestiti pronti impilati sul letto, in pochi secondi li indosso, poi finisco di riempire i bagagli con gli alimenti che ho tenuto in frigo per l'occasione e infine porto giù l'innumerevole carico di bagagli da montare sulla Transalp. Dietro ai palazzi dell'Eni il sole al tramonto è di un rosso acceso, e tiro fuori la reflex per immortalare il momento. Dannazione, la reflex non si accende nemmeno, ha di nuovo le batterie scariche, dopo che per l'ultima volta le avevo cambiate a Lubiana, meno di un mese fa, dopo solo un paio di foto scattate in tutto! Ci deve essere una dispersione da qualche parte, sono talmente arrabbiato che lascio sparpagliati sul marciapiede tutti gli innumerevoli componenti del mio bagaglio e corro di nuovo in casa a depositare la Minolta, inutile portarsi dietro un peso e un ingombro inutili. Segno il punto esatto con il GPS: N 45°25.189', E 09°15.412' . Mi devo accontentare di scattare una misera foto con la videocamera, davanti alla rampa del garage dal quale ero stato cacciato non più tardi di due giorni fa. Poi con un ragno elastico lego lo zaino al posto del bauletto, e ai suoi lati, appoggiati alle borse laterali, il sacco a pelo invernale e il materassino da campeggio.
Guardo l'orologio: sono esattamente le 17.27 quando accendo il motore e tutto ad un tratto mi rendo conto che da ferma la moto è manovrabile con grande fatica: a parte lo sbilanciamento di peso tra anteriore e posteriore dovuto ai pesanti bagagli, girando il manubrio le mòffole intruppano con l'ingombrante borsa da serbatoio e rischio di finire per terra che non sono neanche partito. Il traffico in tangenziale est è sostenuto, e quando imbocco la Milano-Venezia è addirittura bloccato. Quando necessario faccio uso della corsia di emergenza, con molta attenzione perché qui in nord Italia sospetto che i poliziotti siano meno tolleranti con le moto rispetto a quanto fanno a Roma. E' ormai buio completo quando, verso Bergamo, il traffico si diluisce un po' e mi permette di guidare più rilassato. Tra Brescia e Verona continuano ad entrarmi dentro al casco strani odori. Faccio in tempo a preoccuparmi per il motore della moto prima di rendermi definitivamente conto che sono solo i fertilizzanti dei campi e i miasmi delle fabbriche costruite intorno all'autostrada. La Transalp mantiene tranquillamente i 110-120 all'ora e per non farmi cogliere dall'assopimento provo a cantare a squarciagola, masticando occasionalmente per sbaglio il sottocasco windostopper. L'effetto acustico è assolutamente orripilante, però la musica mi tiene compagnia per decine e decine di chilometri. Incidentalmente, non posso non ricordare, con un sospiro di dolore, di aver dimenticato a casa le preziose cartine dei dintorni di Solla, che avevo stampato giusto oggi pomeriggio in ufficio. Pazienza, non ho dubbi che troveremo qualche altra moto da seguire negli ultimi chilometri, e poi i racconti degli anni scorsi narrano di cartelli con elefanti disegnati che segnano il percorso ad ogni incrocio. Ho montato le batterie nuove sul GPS, e devo accendere la retro-illuminazione per poter vedere il display. Nelle quasi quattro ore di viaggio faccio fuori lo stock di quattro pile stilo, però mi diverto a seguire in tempo reale il percorso sulla mappa stradale, e poi riesco a tenere d'occhio la velocità (il tachimetro analogico è ancora fuori uso da quando mi si è rotto il cavo del rinvio l'estate scorsa in Ungheria) e l'altitudine sul livello del mare. Quando, più o meno a metà strada, imbocco l'autostrada del Brennero, comincia a venire più freddo. Le dita delle mano mi si intirizziscono e gradatamente perdo sensibilità. Non ho un termometro sulla moto, ma i cartelli luminosi che scorgo qua e là dichiarano temperature tra 0 e 2 gradi. Nemmeno troppo freddo, forse il problema è che per la fretta di arrivare a Bolzano e ricongiungermi con il gruppo sto facendo il viaggio praticamente in una tappa unica. Ormai le piccole correzioni di traiettoria le faccio manovrando il manubrio solo con i palmi delle mani, dato che le ultime falangi delle dita le sento come se fossero di cartone. La mia mente nel frattempo sta vagando per i fatti suoi chissà dove, e ad un tratto mi trasmette una vocina venuta da chissà dove: Il calore, Luke, lo devi cercare dentro di te. E' da lì che proviene. Chi è che parla? E soprattutto, chi è questo Luke? Mmmhhh, dentro di me, eh? In un lampo di lucidità capisco tutto. Provo ad articolare le dita delle mani, e, sempre ai centodieci all'ora, le muovo per un paio di minuti fino a che non sento di nuovo il sangue fluire e riscaldare anche le estremità. Le previsioni del tempo di questa mattina minacciavano un -14° a Bolzano di minima, stanotte. Spero che l'albergo dove alloggiamo abbia un garage, altrimenti chi la fa partire più la Transalp domattina? ![]() Sono tutto contento, adesso. Prima di andare in riserva mi fermo all'autogrill di Paganella Est per fare il pieno di benzina e mangiare una Rustichella all'autogrill come cena. Mi telefona Federica e, con l'auricolare dentro al casco, mi fa compagnia per i chilometri che mancano fino al casello di Bolzano sud. Poi telefono a Luigi che mi dà le indicazioni per raggiungere la pizzeria dove si trovano gli altri dodici componenti del gruppo. Ci metto un po' a trovarla, ma finalmente verso le nove e mezza parcheggio sotto all'insegna "Da Piero" e mi ricongiungo agli altri Sporchi Enduristi, tra i quali c'è anche Ivan, partito da Milano all'ora di pranzo e che è riuscito a farsi tutto il viaggio con la luce e un po' più di caldo, beato lui. Stanno tutti finendo di spazzolare le loro pizze tranne Giorgio, che non ha ancora ricevuto la sua. Sotto ai miei occhi si consuma un dialogo esilerante tra lui e il cameriere di Bari. Giorgio : Scusa ma la pizza...
Cameriere : Arriva, aspetta un attimo...
Giorgio : E' da mo' che aspetto!
Cameriere : Ora arriva, non ti preoccupare.
Giorgio : Eh no io me preoccupo... IO ME PREOCCUPO PE' TE !!
Come è giusto che sia, tutto è bene quel che finisce bene, e adesso i miei compagni danno fondo alle riserve di birra e grappa del locale, con la complicità del cameriere che forse vuole farsi perdonare. Io tiro fuori la videocamera e giro i primi minuti del filmino documentario di questa avventura. Mando un messaggio ad Alessandro (che dovrebbe partire domattina da Lecco) e qualcun altro agli amici per rassicurarli che la prima tappa del viaggio si è conclusa con successo. Gli SMS spediti li vado a rilaggere qualche giorno più tardi per scoprire il loro contenuto delirante: Arrivato a Bolzano, prima tappa archiviata. La Transalp sfreccia come un caccia interstellare. Domattina attacchiamo il Brennero a -19. Sempre avanti Savoia. Quella dei -19° era un'interpolazione mia, ma scopro presto che weather.com aveva un po' esagerato, la temperatura della notte a Bolzano non va troppo sotto lo zero, per fortuna. Chissà che non siano sbagliate anche quelle di Solla per i prossimi giorni... Non paghi della bevuta e dell'orario, tutti e dodici decidono di concludere la serata al pub. Io mi sento troppo stanco per unirmi a loro e poi, dannazione, sono quasi astemio: sarà dura sopportare il freddo all'Elefante senza bere più di qualche dito di alcolici... Mi faccio spiegare dove si trova il Garni Tezzele dove alloggiamo, Giorgio mi dà la chiave della stanza doppia dove dormiamo e mi avvio. Il garage c'è davvero, per fortuna. Parcheggio la Transalp in mezzo a un mare di Africa Twin, tutte stracariche di bagagli. E' mezzanotte, la porta di ingresso è chiusa e sono costretto a citofonare per farmi aprire. Mi tolgo solo i pantaloni e la giacca da moto, e la felpa in pile, il tempo di lavarmi i denti e sono già a letto. Giorgio arriva insieme agli altri più di un'ora dopo, ancora sono in dormiveglia e rimaniamo a fare quattro chiacchiere, prima di addormentarci veramente. ![]() ![]() L'idea era essere tutti pronti per le otto di mattina, per riuscire a partire alle otto e mezza. A me per essere pronto serve solo da infilare i pantaloni e la giacca, e punto la sveglia alle sette e quaranta. La sera precedente avevo dissuaso Giorgio dal puntarla alle sette, ed è una fortuna, perché le operazioni di preparazione sono molto più lunghe del previsto. ![]() ![]() N 46°27.416', E 11°20.042' , poi, uno dietro l'altro, andiamo a pagare ciascuno i suoi 22.5 euro ai gestori del garni e un primo drappello parte in direzione del pub Lo Hobbit per la colazione, io accompagno un cappuccino alla stecca di cioccolato portata da casa. Il secondo gruppo non arriva, e sono necessarie un paio di telefonate e di moto che tornano indietro a recuperarli prima di poterci ricongiungere tutti, e a tutt'oggi ancora non ho capito cosa fosse successo. Sono quasi le nove e quaranta quando finalmente si parte tutti assieme e si imbocca l'autostrada in direzione nord. La Transalp sta per essere fedele al suo nome e valicare per la sua quarta volta la catena alpina.
![]() Ci perdiamo immediatamente, dividendoci di nuovo in due gruppi. Io sono in quello di testa, procediamo ai 110-120 all'ora sull'asfalto in buone condizioni e ci fermiamo nel penultimo autogrill prima del valico del Brennero per fare il pieno di benzina e acquistare la vignetta da attaccare sul cupolino per l'accesso alle autostrade austriache. Gli altri dei nostri si sono fermati all'autogrill precedente e ci raggiungeranno dopo una mezz'oretta. Intanto faccio in tempo a fotografare una moto che si porta addirittura dietro la legna da ardere, e a fare amicizia con un signore che parcheggia la sua enorme Goldwing di fianco alla mia Transalp. Attacca subito bottone volentieri, si chiama Antonio e ci racconta che è il suo quinto Elefantentreffen (lui però abita a Trento), per non parlare di tutte le volte che è stato a Capo Nord, di cui una, anni fa, con suo figlio Federico quindicenne che ha guidato una moto da solo fin lassù. Senza patente, ovviamente, e lo dice come se fosse una cosa normalissima. Lo stesso Federico ora lo scorta su un BMW 1100 GS, mentre un altro ragazzo (suo figlio anche lui?) gli fa da passeggero di lusso sulla Goldwing. Dopo qualche minuto di chiacchiere ci propone di fare il viaggio insieme. Gli faccio presente che noi stiamo aspettando gli altri nostri amici, e ci potrebbe volere un po' prima che riusciamo a ripartire. Lui per un po' aspetta con noi, poi evidentemente si stufa e riparte. Poco dopo arrivano Max e gli altri e si riforma la carovana, stavolta stiamo attenti a viaggiare in gruppo compatto. Io mi metto in coda e mi godo lo spettacolo della fila indiana di moto che sfrecciano sull'asfalto con le montagne a destra e a sinistra, e le automobili si scansano riverenti e si godono anche loro lo spettacolo. Io non ho usato nemmeno oggi gli scaldini chimici, ma il freddo è sopportabile. Ho scoperto che se indosso il k-way sopra la giacca da moto, l'elastico dei polsi si riesce ad infilare sopra ai guanti e copre anche i più piccoli spifferi che si infilavano tra i guanti e la giacca da moto, isolandomi per bene, con il contributo delle mòffole. ![]() Il GPS è fissato al traversino del manubrio con due anelli di filo di ferro, e continua a cascare da tutte le parti, e di tanto in tanto sono costretto a staccare la mano sinistra dal manubrio e rimetterlo a posto. Solo in Germania riuscirò finalmente a fissarlo in modo che non si muova più. Di tanto in tanto mi viene da ridere quando Moroboschi mi sorpassa e lo sguardo mi cade sulla graticola che si porta legata alla marmitta la graticola sulla quale cuoceremo le salsicce. E' riuscito a fissare alla sua Africa Twin anche una copertina di quelle che usano gli scooter in inverno per tenere al caldo le gambe. La parte che dal di fuori non si vede sono i cavetti che dalla batteria gli arrivano alle scarpe e ai guanti riscaldati elettricamente. Questi pazzi Elefanti ne sanno una più del diavolo. Dalle parti del valico il GPS segna 1400 metri di quota, più o meno dove il termometro da moto di Max indicherà -11° come temperatura minima, ma io sono troppo impegnato nel fare attenzione alle pozze di acqua ghiacciata sull'asfalto per sentire il freddo. La discesa verso Innsbruck è spettacolare: sul versante austriaco, a differenza di quello italiano, le pendici dei monti sono ricoperte di neve, e le cime sulla sinistra sono davvero coreografiche, peccato che il gruppo fili ai centoventi all'ora e non posso fermare a scattare una foto (ahimè, la mia reflex!) o girare qualche secondo di filmino. Pazienza, non è questo un viaggio paesaggistico, per quello ritornerò un altro giorno. In Austria un'altra sosta all'autogrill. E' quasi l'ora di pranzo e siamo affamati. Alcuni fanno il pieno alle moto, tutti ne approfittiamo per mangiare un panino da sapore orribile e dal costo stellare. Io acquisto anche una ricarica per il fornelletto da campeggio, quelle ricariche di gas che in Italia costano meno di mille lire, ma che qui si fanno pagare tre euro, però se non altro oltre al consueto butano contengono anche propano, che non dovrebbe ghiacciare alle basse temperature. Ci raggiunge anche Antonio con i suoi figli, mi domando come mai si fermi così spesso agli autogrill (per lui è già il terzo da Bolzano), mi domando se sia la Goldwing ad essere scomoda o la BMW di suo figlio che impone delle soste frequenti. Pranziamo insieme a lui, poi lui ci spiega la strada migliore da prendere sulla circonvallazione di Monaco e ripartiamo tutti assieme, stavolta la carovana è formata da quattordici motociclette (noi siamo un gruppo da tredici, ma i due fratelli Mortati viaggiano su un'unica Africa Twin). Dopo pochi chilometri dall'autogrill il traffico è bloccato: con le moto sfiliamo lentamente in corsia di emergenza fino a scoprirne il motivo: sulla sinistra il guard-rail è tutto divelto, con rami e foglie fin sulla carreggiata. Cento metri più avanti una Guzzi targata Padova è ferma in corsia di emergenza con tutta la parte anteriore distrutta, e il pilota sta conversando, in modo piuttosto tranquillo, con gli agenti della polizia stradale austriaca: sembra che non si sia fatto nulla di grave, ma di sicuro il suo Elefante termina qui. L'incidente ha evidentemente scosso tutti noi, e quando riprendiamo il cammino sulla strada libera istintivamente teniamo una velocità più bassa. La cosa che mi innervosisce maggiormente sono le frenate delle automobili di fronte a me. Molti corrono oltre ai limiti della strada, non tengono la distanza di sicurezza e così si ritrovano a frenare piuttosto frequentemente, mettendo in agitazione noi motociclisti. Frenare una moto come la nostra, in discesa e a pieno carico, su una strada potenzialmente scivolosa non è mai un'impresa piacevole, e bisogna stare continuamente all'erta per anticipare le intenzioni delle macchine intorno a noi. Però i chilometri scorrono veloci, ed è bello guidare al fianco di tanti compagni in questa carovana compatta. ![]() Sulla circonvallazione di Monaco Palì, che guida la marcia, imbocca lo svincolo di uscita dove è indicato Passau, ma non è l'autostrada che avremmo dovuto prendere, ma una statale che si rivela presto piena di camion lentissimi. Ci mettiamo un po' di chilometri a renderci conto dell'errore, e facciamo tappa a un distributore della Aral dove facciamo tutti assieme nuovamente il pieno e il punto della situazione. La cosa più conveniente è proseguire per qualche altro chilometro di statale e poi tagliare verso nord per riprendere l'autostrada che avevamo perso mezz'ora prima. Mi arriva un SMS di Alessandro, che è partito questa mattina da Lecco ed è già arrivato dalle parti di Monaco. Vuoi vedere che arriva prima lui di noi? Quando ripartiamo sto davanti insieme a Moroboschi e Domenico, seguendo la strada che attraversa una decina di paeselli, tutti con i loro bravi limiti di velocità assurdamente bassi che tutti noi cerchiamo di rispettare, ma sicuramente più di uno l'abbiamo sforato. Quando, il giorno dopo, ci racconteranno che la polizia locale in Baviera installa degli autovelox camuffati per fare le multe agli indisciplinati mi sento venire un groppo allo stomaco. Se non altro, qui all'estero non ci toglieranno punti dalle patenti italiane. A Landshut, l'ultimo paese prima dell'autostrada, già comincia a fare buio, e in quattordici moto quali siamo, ci perdiamo un po' nel traffico, ma in pochi minuti siamo di nuovo ricompattati e imbocchiamo finalmente l'autostrada in direzione est. Non so chi sta alla guida della carovana stavolta, fatto sta che il ritmo imposto è elevatissimo, raramente si scende sotto ai centotrenta all'ora, e perdipiù sta venendo seriamente buio e comincia pure a venire giù un po' di nevischio. La strada sembra in buone condizioni, ma io sono sempre diffidente sulla presenza del ghiaccio, e di qualunque irregolarità sull'asfalto che in questo crepuscolo si vede solo all'ultimo momento. Mi domando Mauro, con la sua XT monocilindrica senza cupolino, come faccia a sopportare questo ritmo e questo freddo. Io sono il penultimo della fila, ringrazio Max che mi fa da scopa e che mi agevola nei sorpassi bloccando il traffico nella corsia di sinistra, cosa che mi è molto utile perché i miei indicatori di direzione praticamente non funzionano: con il freddo intenso il relè è diventato lentissimo, e ci mette una trentina di secondi ad accendere la freccia una volta premuto il pulsante. Trasalisco e ho un attimo di sbandamento quando, sfrecciando sull'autostrada, scorgo in un'area di parcheggio sulla destra due moto, con due persone al fianco che si sbracciano nella mia direzione. Uno di loro ha una giacca gialla proprio come Andrea, e in una frazione di secondo penso che siano due dei nostri che hanno avuto problemi meccanici. Istintivamente tolgo la mano dall'acceleratore e sfioro la leva del freno. Ma davanti a me gli altri continuano a correre al solito ritmo, e più dietro Max mi lampeggia e mi fa segno di continuare. Capisco che i due non sono dei nostri, che non possiamo permetterci soste perché dobbiamo arrivare al più presto al raduno, e proseguo riportandomi ai consueti centotrenta all'ora, ma per alcuni minuti mi rimane il rimpianto di non aver potuto aiutare quei colleghi. Credo che sia Antonio stesso stavolta alla guida della carovana. Esce allo svincolo giusto, dopo il ponte sul Danubio (ah, il Danubio, quanti ricordi dalla scorsa estate!), e ci conduce lungo stradine in mezzo a campi ricoperti, fino a dove i fari delle moto riescono ad illuminare, da un folto tappeto di neve. Sono una dozzina di chilometri che sarebbero piacevolissimi, se non fossimo così stanchi e se non fosse così buio intorno. Immaginavo una lunga coda di motociclette ad indicare la strada, o il logo dell'elefante ad indicare la direzione giusta agli incroci, e invece niente di tutto questo, rimpiango quello sbaglio di direzione che ci ha fatto perdere forse un'ora, e ci costringe a trasformare la nostra cavalcata trionfale degli ultimi chilometri in una mesta marcia di avvicinamento. In un tratto in discesa in curva Roberto si addobba per primo con la sua Africa Twin. Mauro, che è giusto davanti a me, lo segue a ruota, scivolando sul fondo ghiacciato, e io sento la Transalp sbandare un poco mentre pinzo con delicatezza i freni per evitare di finirgli addosso. Riesco a fermarmi, leggermente intraversato, un paio di metri dietro a lui, e per fortuna le altre moto e un paio di automobili che ci seguivano riescono a fermarsi in tempo. Salto giù e aiuto Mauro a rimettere in piedi la sua Yamaha, sembra non ci siano stati danni né per le persone né per le moto. Antonio e i suoi figli si fermano qui. Siamo proprio davanti al loro albergo, loro non sono tipi da tenda, scenderanno nella fossa domattina, sicuramente ci si vede là. Federico per sicurezza mi lascia il suo numero di telefono cellulare, in effetti potrebbe essere un problema incontrarsi tra le migliaia di moto e di partecipanti al raduno. Noi si riparte. Ancora più lentamente, anche perché dopo poche centinaia di metri Roberto si ferma e lamenta, dopo la caduta, una strana instabilità all'anteriore. Potrebbero essere i cuscinetti che si sono danneggiati o, semplicemente, il comportamento normale di una moto così pesante a pieno carico su un fondo scivoloso come quello. Comunque lo scortiamo per assicurarci che riesca a procedere normalmente. Ancora qualche incrocio e qualche bivio qua e là. Il punto GPS che mi avevano mandato via Internet non sembra quadrare con la strada che sembra invece essere quella giusta. Moroboschi corre su e giù a verificare la direzione, e alla fine arriviamo all'enorme piazzale dove ci sono parcheggiate le centinaia di automobili dei visitatori, ed entriamo nell'area dove solo le motociclette e i pedoni sono ammessi. La stradina corre in discesa, è stretta e noi la dobbiamo condividere con motorette che risalgono a tutta birra sgasando e sgommando, e soprattutto con innumerevoli gruppetti di pedoni che scendono verso la fossa per godersi lo spettacolo serale, incuranti del rischio che corrono volgendo le spalle alle nostre motone stracariche. Per sicurezza io tiro fuori i piedi e scendo con prudenza, anche se in modo così poco dignitoso. Non vorrei correre il rischio di asfaltare qualche bambino troppo distratto. Di fronte a noi ogni qualche secondo il cielo è illuminato da lampi, sulle prime penso a un temporale, poi capisco che sono dei fuochi artificiali, e mi sorprendo nel prendere coscienza di quanto frequentemente ne vengono lanciati. E poi, prima sul lato sinistro della strada e poi sul lato destro, comincia la lunghissima fila di motociclette parcheggiate: sono le moto che non hanno potuto scendere fino nella fossa e prudentemente hanno preferito parcheggiare sull'asfalto pulito. Tutte così in fila a spina di pesce, se ne contano a migliaia e migliaia. E in fondo a tutta questa splendida sfilata, sulla sinistra l'enorme piazzale illuminato a giorno dai riflettori, con quell'enorme scritta che compare in tutte le foto di rito: Bundesverband der Motorradfahrer e.V. 49 Jahre Elefantentreffen. Il piazzale è in fondo a una discesa ricoperta di ghiaccio, ma Moroboschi e gli altri che guidano il gruppo non esitano nemmeno un secondo a buttarsi giù e parcheggiare le loro Africa davanti alla biglietteria. Di fianco a me sento Ivan, con la sua Triumph Adventurer, mormorare che non ha intenzione di provarci, io invece mi sento ardito e voglio testare l'assetto della Transalp, che le borse laterali dovrebbero rendere maggiormente stabile. Scendo di nuovo con il piede sinistro fuori dalla pedana, derapando con la ruota posteriore con le sbandate contollate dalla pressione della leva destra, e, sbandando da tutte le parti alla fine arrivo sul grande piazzale, metto giù il cavalletto e tiro un sospiro che è al contempo di sollievo e di vittoria. Ho percorso millequattrocento chilometri, e altrettanti me ne rimangono prima di poter tornare a casa, per arrivare fino a qui, e godermi questo momento, mi gusto il sapore del successo come una soddisfazione del tutto personale che per un istante è solo mia, e l'istante immediatamente dopo è da condividere con i miei dodici compagni di viaggio, e con gli altri diecimila che da tutta Europa sono convenuti fino a qui, a vivere questo stesso momento per soddisfare l'orgoglio loro e quello collettivo di tutti noi. ![]() ![]() Per santificare pienamente questo momento occorre una foto. Rimpiango come non mai di non avere con me la mia fedele Minolta, devo chiedere a Roberto il favore di scattarmi una foto con la sua macchina digitale. Me ne fa due, il buon Roberto. La seconda senza flash, ma le mani gli tremano così tanto per il freddo che non riesce a mantenere la fotocamera sufficientemente stabile, e inevitabilmente la foto viene mossa. Però rende l'idea. La Transalp in primo piano mostra gli adesivi dei paesi dell'est che ha visitato la scorsa estate, nel suo viaggio da Istambul a Berlino, e anche adesso siamo a così pochi chilometri dalla Repubblica Ceca che è un peccato non poter raggiungere la frontiera e tornare, per la quinta volta negli ultimi tredici mesi, in un Paese di quell'Europa dell'Est che fino a tredici mesi fa conoscevo così poco. Nel frattempo lo stesso Roberto è caduto di nuovo cercando di portare la sua Africa giù per la discesa insieme alle nostre. Lo guardo in faccia, è stanco morto, ma anche lui felice di essere qui come tutti noi. Per un tempo interminabile gironzoliamo tutti senza una meta, appagandoci del luogo e del momento, fino a che non veniamo richiamati dagli addetti alla sicurezza che dapprima gentilmente e poi in modo sempre più insistente, ci chiedono di rimuovere le moto parcheggiate in mezzo al piazzale, altre moto sono in arrivo continuo e lo spazio va liberato. Moroboschi, Palì e altri decidono di portare le loro Africa Twin in fondo alla fossa. Li aiutiamo tutti assieme a trascinare le moto che scivolano da tutte le parti, lungo la discesa ghiacciata sulla quale l'organizzazione evita accuratamente di spargere il sale. Solo i veri uomini portano la loro moto in fondo alla fossa, e l'eroicità dell'impresa non deve essere infangata da alcuna facilitazione. Io per alcuni minuti sogno di cavalcare anche la mia Transalp giù per la strada ghiacciata, ma poi considero i rischi e decido che mi sento già soddisfatto di essere arrivato fino a qui, e il mio successo personale questa volta sarà consistito nel capire dove devo fermarmi. Palì si reca in biglietteria con la cassa comune e compra i biglietti per tutti (incidentalmente ancora non ha capito che siamo in tredici, e Ivan rimane fuori): per 18 euro (a cranio) ci danno un braccialetto di plastica che servirà da riconoscimento per i successivi ingressi nell'area; un opuscolo scritto quasi esclusivamente in tedesco, con il programma delle attività; un adesivo e un piccolo badge metallico con su scritto 2005, e capiremo solo più tardi che va fissato alla spilla con il logo della manifestazione, che però è a pagamento e costa la bellezza di sei euro. In cambio di tutto questo acquisiamo il diritto a piantare la tenda in un punto a piacere di questo terreno desolato, ricoperto in ogni suo dove da quasi mezzo metro di ghiaccio e neve. In un momento di lucidità mi ricordo di avere con me le catene da neve spray comprate per l'occasione, e decido che non c'è migliore occasione per provarne il funzionamento. Tiro fuori la fialetta, miscelo i due liquidi e con l'erogatore ne spruzzo delle dense scie a forma di X sulla gomma posteriore. Ivan dapprima mi guarda perplesso, poi mi imita, dando a sua volta fondo ai suoi 16 euro di tubetto. Il denso liquido che ne esce è una via di mezzo tra mastice a presa rapida e omogeneizzato andato a male. Riesce ad appiccicarsi alle dita molto di più di quanto non faccia sul pneumatico, e anche dopo un quarto d'ora, nonostante il freddo pungente, non ne vuole sapere di solidificare. I tipi con la casacca gialla con il logo del raduno cominciano davvero a spazientirsi. Siamo parcheggiati lì da un'eternità, e non sembriamo avere la minima intenzione di spostarci. ![]() E' vero. Non ho fretta di spostarmi. Voglio lasciare il tempo alle catene da neve di asciugarsi, voglio godermi ancora un po' l'atmosfera di questo luogo, e voglio segnare le coordinate (esatte, questa volta): N 48°48.128', E 13°18.851' . Tutto intorno a me la gente arriva e riparte, qualcuno scatta foto, qualche moto scivola sul ghiaccio e tutti assieme giosiosamente la si ritira in piedi.
Poi, con una lentezza esasperante, comincio a smontare i bagagli dalla moto con le mani intirizzite dal freddo. Butto le borse laterali, la borsa da serbatoio e il casco sulla neve in un angolino, poi chiedo aiuto per portare la Transalp su per la salitella ghiacciata fino all'asfalto. Le mie preziose catene spray si spappolano al primo contatto con la neve, e dopo un giro di ruota tutto quello che hanno lasciato dietro di sé sono l'appiccicume sulle mie mani e della specie di sterco di vacca semisolido sulla spalla del pneumatico. Sbandando e spingendo, alla fine la motina ce la fa a riguadagnare l'asfalto, anche se purtroppo il primo posto libero per parcheggiarla è oltre cento metri più avanti. Avvolgo accuratamente il motore e la batteria con il telo che mi ero portato dietro apposta, scopro che è enorme ma sottilissimo, e si taglia da tutte le parti. E' buio e sono stanco, ricopro il tutto alla meno peggio, rivolgo un ultimo sguardo di affetto alla motina e me ne torno giù ad aiutare gli altri. Nel frattempo, Moroboschi (l'amministratore in incognito del sito di sporcoendurista e formalmente il capo-carovana, ma perché si farà chiamare Moroboschi?) e gli altri hanno individuato uno spazio dove piazzare le nostre tende. Purtroppo siamo arrivati tardi e ci dobbiamo accontentare di un declivio in pendenza, sotto ai rami di un albero che sono all'altezza giusta per piantarsi in un occhio, e a lato un lago ghiacciato e un piccolo canale di scolo. Trasciniamo faticosamente ognuno i propri bagagli e cominciamo a montare le tende. Dal nulla spunta una pala da neve, perfetta per liberare lo spazio giusto per piantare le nostre tende. Probabilmente ce l'ha prestata qualcuno, ma nessuno riesce a ricordare chi, e nessuno viene a reclamarla. Ce la terremo noi fino a domenica, e per quel che ne so la pala è ancora lì. Infilando le mani nella tasca della giacca per riscaldarle, attraverso i guanti percepisco al tatto la tavoletta di cioccolato che mi ero portato da casa come razione di emergenza. Sono affamato e stanco, e togliere i guanti per scartarla mi provoca una grossa sofferenza. Quando l'addento, il cioccolato è reso durissimo del freddo, e scrocchia sinistramente sotto ai miei denti. Per i prossimi due giorni devo fissarmi in mente che ogni cosa che vorrò mangiare o bere sarà sempre ghiacciata come questo stecco di cioccolato al latte. Io ho portato la mia tenda Quechua estiva, Ivan ne ha comprata giusto pochi giorni fa una in offerta che è garantita per due posti, e allora decidiamo di usare la sua, che dovrebbe essere più larga della mia, e dichiara anche uno spazio separato per i bagagli. L'unico spazio rimasto è alla base del pianoro sul quale gli altri stanno già montando le loro tende familiari. Siamo vicini alla tenda di altri ragazzi, prima di installarci domando il permesso, scoprendo che sono italiani anche loro, di Trieste. Lavoriamo di pala fino a sgombrare uno spazio di un paio di metri quadrati, per fortuna la luce della luna sopperisce alla totale assenza di illuminazione artificiale quaggiù. Moroboschi lega ai rami dell'albero il gagliardetto di SporcoEndurista, gli altri gonfiano i materassini ad aria. Per quasi un'ora ognuno lavora per conto suo intorno al proprio orticello, e anche io e Ivan abbiamo il nostro daffare per capire come va montata questa dannata tendina, ma alla fine ne veniamo a capo e scopriamo che i due posti dichiarati in effetti ci sono anche, ma sono assai sacrificati, e lo spazio per i bagagli ruba una grossa fetta del triangolo di base. Pazienza, vorrà dire che dormendo più stretti ci faremo caldo a vicenda. Roberto e Mauro intanto stanno spalando la neve ancora più a valle per piantare l'ultima delle tende della nostra comitiva. Alex e Max sono andati a comprare la legna, che ovviamente si paga cara, cinque euro per ogni fascina, senza contare che poi va trascinata in qualche modo fino all'accampamento, per fortuna almeno la strada è quasi tutta in discesa. Purtroppo la paglia è invece terminata. Mi viene da pensare che quella finita fosse solamente la razione prevista per il venerdì e che domani riusciremo a procurarcene, e invece è proprio terminata tutta, incredibile. Per questa notte ci toccherà sederci sulla neve e dormire nelle tende senza nessun isolante tra noi e il ghiaccio se non il sottile telo di nylon. Oltre alla mia, avanza un'altra tenda inutilizzata. Verrà montata poco più in là ed usata per contenere i caschi e i bagagli di tutti noi. In serata ancora più tarda arriva Mario Ciaccia, fotografo di Moticiclismo Fuoristrada, amico personale di Moroboschi e di altri sporcoenduristi. E' con suo fratello e un amico, e piazza la sua tenda a due passi dalle nostre. Sono arrivati qui da Milano svalicando sul Bernina, altro che la nostra comoda autostrada. Rimarranno solo fino al pomeriggio successivo, uno di loro non ha nemmeno il sacco a pelo, e tutta la loro avventura sembra essere stata organizzata in quattro e quattr'otto. Se penso che io sono settimane che preparo l'attrezzatura per questa spedizione! Nel pulire la legna con un'accettina, Andrea se la tira su una mano e quasi sviene per il dolore. Domenico lo porta al pronto soccorso vicino alla biglietteria (meno male che almeno questo servizio c'è!) e gli metteranno due punti. Rimarrà per un po' di giorni con la mano fasciata, fortuna ha voluto che di noi tredici fosse l'unico a non dover guidare la moto al ritorno, dato che fa il passeggero sull'Africa Twin di suo fratello. Resta comunque un'ammirazione generale per questo ragazzo, che, pur di vivere questa avventura, ha accettato lo scomodo ruolo di passeggero, senza perdersi d'animo quando la tenda e il sacco a pelo invernale sono rimasti bloccati in una corriera a Lagonegro. Bravo Andrea, questo è lo spirito giusto per vivere un'avventura come questa! Ivan mi accompagna in una breve esplorazione del terreno del raduno. Risaliamo il bordo della fossa fino all'ingresso dove, nonostante l'ora tarda, stanno continuando ad affluire partecipanti. Poco più in là c'è l'unico spazio ristoro raggiungibile a piedi: una baracca di legno con una tettoia riscaldata da stufe a gas, dove la gente si accalca per comprare una birra o un vin brulé. A lato del bancone c'è il listino prezzi, è previsto il the con diverse percentuali di rhum, ma non il the senza rhum. Provo a domandarne un bicchiere, ci mette un bel po' ad arrivare e me lo fanno pagare molto di più che la versione corretta, quasi che l'alcool avessero dovuto toglierlo apposta! Però se non altro è bello caldo, mi tolgo i guanti e afferro il bicchiere con entrambe le mani. Rimaniamo per qualche minuto ad osservare l'umanità eterogenea che ciondola avanti e indietro, ci sono famiglie con bambini piccoli e tedeschi ubriaconi. Uno di loro barcolla visibilmente mormorando qualcosa in tedesco o forse in ceco, afferra un barile usato come contenitore della spazzatura e lo ribalta, in modo da poterci appoggiare il bicchiere di cartone con dentro ancora metà birra, ma in compenso sparpagliando sulla neve tutta la spazzatura che il barile conteneva, e suscitando disappunto anche nei suoi amici. Qualche bambino si lancia giù per la discesetta ghiacciata seduto su una busta di plastica, e mi viene da pensare che questi bambini tedeschi sono fenomenali, si adattano a qualunque situazione, pensavo che le prove più dure le sopportassero nelle interminabili vacanze in campeggio in Italia, ma mi sbagliavo. Ci vuole un'eternità prima che il fuoco sia pronto. L'unico spazio disponibile è il terreno in pendenza a margine delle tende, e con questo se ne va in fumo la mia idea dell'accampamento con tutte le tende piazzate in circolo e il falò in mezzo. Anche perché con i rami degli alberi proprio sopra alle tende non ci saremmo sentiti sicuri nell'accenderci un fuoco proprio sotto. Nel frattempo la temperatura sta scendendo in picchiata, e io rinuncio immediatamente ai miei propositi di togliermi di dosso alcuni dei miei innumerevoli strati di vestiti. Dopo il viaggio in moto ho eliminato solamente il back protector e il fratino giallo catarifrangente, e solo quando il fuoco è finalmente acceso possiamo tutti cominciare a riscaldarci. Per mangiare ci vuole invece almeno un'altra ora, il tempo che si possa formare un po' di brace. Non siamo così pazienti. Da una busta di plastica saltano fuori una serie di costine, di braciole e di salsicce, ghiacciate più che se fossero state in freezer. La prima infornata la facciamo quando ancora la fiamma è viva, e pazienza se verranno bruciate. I ciocchi scoppiettano, il grasso sfrigola sciogliendosi al calore, e il profumo della carne ci fa ricordare che siamo affamati come lupi: dopo una prima fase di cameratismo e falsi complimenti ("prego, prima tu, io aspetto il prossimo giro...") si cominciano a sentire frasi del tipo "ma non sarebbe mica rimasta una costina laggiù...", e peccato che il pane sia ghiacciato e duro come la pietra, dobbiamo scongelarlo pazientemente presso il fuoco prima di poterlo addentare. ![]() Io sono seduto sulla neve, che sotto la pressione e il calore del mio corpo si scioglie e solidifica di nuovo, formando uno strato di ghiaccio compatto. Mi arriva una braciola e una specie di rosetta, che addento avidamente. Le mie mani sono incrostate di quell'orribile morchia nera che si è lasciata dietro la bomboletta spray, ma non ho modo di lavarmi, servirebbe qualche solvente potente e rinuncio in partenza. Qualcuno riempie di neve un pentolino e mette anche quello sul fuoco. Questo freddo non ci fa sentire la sete, ma ci rendiamo conto che abbiamo tutti bisogno di bere. Quando la neve si scioglie, alla luce delle torce elettriche ci accorgiamo che c'è qualcosa che galleggia in superficie. Al buio non ce ne eravamo accorti, ma su tutto il territorio del raduno la superficie della neve è ovunque contaminata da schegge di legno, cenere dei fuochi circostanti e polvere da sparo degli innumerevoli fuochi di artificio che vengono lanciati ogni pochi secondi. Ma non è questo il luogo di andare tanto per il sottile: con le mani rimuoviamo dal pentolino i pezzi più grossi e ci versiamo il resto nei boccali di latta, mandando giù il tutto ad occhi chiusi. E' un ambiente surreale, e risulta difficile rendere a parole le nostre sensazioni di quel momento. Riporto qui alcune parole scritte da Moroboschi il giorno dopo il suo ritorno, che trovo molto belle: La luce rossastra dei fuochi d'artificio che illuminavano per pochi attimi la valle, e solo in quegli attimi ti rendevi conto di dove diavolo eri, con gli occhi sgranati per pochi attimi provavi a vedere il più possibile cosa c'era attorno: tende, ghiaccio, falò, moto, sidecar, barbari, motociclisti, paglia, legna, poi finita la luce, tutto buio, e ritornavi a guardare il tuo falò. I fuochi d'artificio partono sibilando un po' da dovunque. A cinquanta metri da noi un gruppetto di tedeschi non fa che lanciarne, sono quelli piccoli, che da noi si chiamano fischi-e-botti, e alla lunga diventano quasi noiosi. Dannazione, ma quanti se ne erano comprati? E soprattutto, come li hanno portati fino a qui? In moto? Spero che nessuno di loro sia scivolato, altrimenti al primo struscio della moto sull'asfalto, alla prima scintilla, sai che bei botti... Un bengala parte da chissà dove con una gran luce, esplode proprio sopra le nostre teste destandoci dal torpore e scende, ancora luminosissimo, appeso ad un piccolo paracadute, fino a depositarsi sulla neve a meno di dieci metri da noi. Si appoggia sulla neve e incredibilmente continua ad ardere, per un minuto ancora, scavandosi lentamente un buco a mano a mano che il calore scioglie la neve, e finalmente si spegne, dando la stura a una miriade di commenti. Non è prudente trascorrere la notte nelle tende, se un arnese del genere cade sul telo si finisce inceneriti nel sonno prima ancora di rendersene conto. Sono tutti una banda di matti, qui intorno. Per fortuna, i buoni propositi sono dimenticati in pochi minuti, e dormiremo sonni tranquilli anche se probabilmente incoscienti. Siamo una comitiva eterogenea: Ivan e Andrea sono i più giovani, e al contempo Stefano (che di cognome fa Perugini, ma non è il campione della 125cc) con i suoi 46 anni non solo è padre, ma addirittura nonno. Palì tira fuori la bambola gonfiabile che si era portato da casa, ma è bucata e quando la facciamo sedere vicino a noi presso il fuoco non sortisce l'effetto desiderato, moscia e grinzosa com'è. Spedisco un SMS ad Alessandro che con il suo BMW 1200 dovrebbe ormai essere arrivato, gli spiego dove siamo all'interno della fossa e lo invito a raggiungerci. Ma da lui per i prossimi giorni non avrò più notizie. Scriverà sul forum solo la settimana prossima che durante il viaggio di andata si era aggregato ad un gruppo di biemmevuisti e aveva accettato il loro invito a pernottare nel loro albergo nelle vicinanze. Peccato non averlo conosciuto, visto che siamo arrivati ad essere così vicini. Mando un altro paio di SMS trionfali agli amici che a Roma stanno festeggiando il compleanno, con le coordinate che leggo dal GPS e la rassicurazione che fino ad ora va tutto bene. In realtà sono molto preoccupato per il freddo che soffrirò durante la notte, i ragazzi triestini di fianco a noi hanno un termometro a lancette appoggiato su un tronco e ogni tanto vado a dare un'occhiata, siamo già abbondantemente sotto i -10°. ![]() Filmo qualche minuto con la videocamera, a questa temperatura fa fatica anche ad accendersi e a mettere a fuoco. Lo stesso problema hanno le macchine fotografiche degli altri. Il telefonino lo tengo prudentemente al riparo nella tasca interna della giacca, che si riscalda col calore del mio corpo. La tanica di vino da cinque litri, dimenticata per qualche minuto lontana dal fuoco, è ghiacciata. Il butano dei fornelletti da campeggio è ghiacciato anche lui, e ci tocca rimettere di nuovo tutto vicino al fuoco, con qualche perplessità sulla bomboletta di gas. Il tempo sembra essere volato, e la mezzanotte è trascorsa da un pezzo. Roberto da qualche minuto ha messo un pentolino pieno di neve a scaldarsi sulla fiamma e quando l'acqua è vicina a bollire tira fuori una borsa d'acqua calda e la riempie, seguito con lo sguardo dall'invidia di tutti noi, e il rammarico di non averci pensato a nostra volta. Giorgio invece ha portato la lampada a gas dentro la tenda, in modo che scaldi l'aria fino al momento di infilarsi dentro a dormire. Così di tanto in tanto qualcuno si stacca dal falò, augura la buona notte (mai nessun augurio è stato più sentito) e si va ad infilare nella tenda, dove troverà inevitabilmente il sacco a pelo rigido e incartapecorito dal freddo. A rimanere fino a tardi siamo Ivan, Palì ed io. Poco alla volta, anche i fischi dei razzi sparati verso il cielo si diradano, anche se non cesseranno mai del tutto. E' una notte limpidissima, si scorgono distintamente le stelle anche se offuscate in parte dalla luminosità della luna piena e dal chiarore dei numerosi fuochi di quaggiù. In tutta la vallata c'è chi chiacchiera e chi canta, da un accampamento dietro di noi si leva un grido: "Helgaaa". Pochi secondi dopo una voce dal fondo gli fa eco scimmiottando in tono lamentoso "Heeeeeelgaaaaa". Ancora qualche secondo e da una terza tenda sembrano gradire il gioco: "Heeeeeelgaaaaa", ripetono, e da quel momento in poi non passa un minuto senza che da qualche parte qualcuno non intoni quel richiamo che dal nulla è diventato il tormentone ufficiale del raduno. Il calore del falò è allettante, ma comincio ad avere sonno, e so che bene che vada domattina mi sveglierò alle prime luci. Andrea nel frattempo si è svegliato (o forse non è ancora riuscito a prendere sonno) e ci raggiunge. Io invece saluto e mi preparo per la notte. Il che non vuole ovviamente dire niente di più che sfilare i doposci e studiare come avvolgermi nei due sacchi a pelo e nella copertina di alluminio che mi fa assomigliare tanto a un cosciotto di pollo riposto in frigo incartato nel domopak. Solo che qui fa molto più freddo che in un frigorifero normale. Fa anche più freddo che in un freezer, ho addosso una decina di strati di vestiti, inclusi i pantaloni da moto e la giacca da moto con tutte le protezioni, ho messo gli scaldini chimici di Decathlon tra i due strati di calzini e rimango piacevolmente sopreso nello scoprire che funzionano davvero, per le tre ore successive non patirò freddo ai piedi. La tenda è a solo pochi metri dal falò e sento distintamente le chiacchiere dei miei compagni. Ricordo la voce di Andrea domandare che ore sono, Palì tirare a indovinare sulle due e diciotto, e Ivan rispondere che ci ha quasi preso, in effetti sono le tre e diciotto. Il mio problema è trovare la posizione adatta per dormire cercando di muovermi il meno possibile per non scoprirmi dai sacchi a pelo (che con le mani intirizzite non sono nemmeno riuscito a chiudere per bene con la zip) e soprattutto dalla copertina di alluminio, che, secondo quello che mi ha raccontato il buon KK prima di ammalarsi e rinunciare ad essere qui con noi, dovrebbe bastare da sola a garantire il mantenimento del calore corporeo. Il sottofondo delle parole scambiate poco più in là, gli scoppi e il rombo delle moto smarmittate che anche di notte vanno su e giù mi fanno compagnia con un ronzio sempre più lontano mentre poco alla volta scivolo nell'assopimento. ![]() A svegliarmi è un grido, non so se di Palì o di un altro degli occupanti della sua tenda. La Ferrino era stata deposta ieri sera sulla neve separata da un telo di plastica che facesse da parziale isolante, quindi senza picchetti. La lieve pendenza e il peso, o forse il movimento notturno dei suoi occupanti, sta facendo tracimare la tenda verso valle. Con gli occhi ancora cisposetti per il sonno mi affaccio (scoprendo peraltro che la tenda non era affatto chiusa) e cerco di capire cosa sta accadendo. Da dentro la tenda di Palì qualcuno sta urlando a Ivan di fermare la lenta scivolata, con ogni mezzo. Sento confusamente Ivan prendere la pala per picchettare il terreno, e la mia mente lascia affiorare l'idea che la mia tenda è esattamente al di sotto di quella che sta venendo giù, in traiettoria perfetta per essere travolta e trascinata in fondo al burrone che comincia trenta metri più sotto. Nella mia coscienza annebbiata non mi viene idea migliore di quella di afferrare a tastoni la videocamera e cominciare a filmare, avvolto come sono nei sacchi a pelo sporgendo il braccio fuori e sperando che l'illuminazione notturna consenta un minimo di visibilità. Sento la situazione tranquillizzarsi. Sprofondo di nuovo nel dormiveglia, raggomitolandomi il più possibile per cercare di succhiare un po' di calore da questo mio corpo ormai di ghiaccio. Non deve essere trascorsa più di mezz'ora da quando mi sono addormentato, ma non riesco più a riprendere sonno. Anche la nostra tenda è in pendenza, ma noi i picchetti li abbiamo messi (purtroppo il telo isolante non ce l'avevamo), e quindi se non altro non corre pericolo di muoversi. Ma la superficie del materassino gonfiabile sul quale sono disteso è liscia, e ad ogni mio micro-movimento il sacco a pelo scivola sempre più a valle fino a che con un sospiro non sono costretto a puntare i piedi e ritirarmi su. Sento qualcosa di duro graffiarmi il viso. E' il vapore acqueo che ho espirato che, sul sacco a pelo sottozero, è ghiacciato insieme a tutto il resto. Dannazione, mi si è ghiacciata anche l'umidità degli occhi (lacrime?), e per riuscire ad aprire il destro devo inumidirlo con la saliva calda. ![]() Nei prossimi giorni si alterneranno varie dichiarazioni sulla temperatura minima raggiunta durante questa notte. La versione ufficiale si attesta sui -18°, mentre durante il viaggio di ritorno ho sentito molti reduci arrotondare a -20°, ricordando che nemmeno nel famigerato '98 aveva fatto così freddo. La temperatura che ho letto sul termomento dei triestini alla luce del sole (ma forse prima del suo sorgere) è di -16°, e l'ho anche fotografata. Mentre soltanto un paio di giorni dopo il ritorno Mario Ciaccia posta la foto del suo termometro digitale, rimasto per tutta la notte appoggiato su una delle sue borse. La temperatura minima registrata da uno dei sensori è di -20.9°, che per quanto mi riguarda rimane il primato ufficioso della manifestazione di quest'anno. Peccato non avere un sito ufficiale della manifestazione che riporti anche in qualche lingua oltre al tedesco i dati principali dell'evento, anno per anno. Io nel frattempo non ne posso più di rotolarmi al freddo. Sento le voci di Ivan e di Palì (che ha rinunciato a riposare nella sua tenda-slittino), e capisco che il fuoco è ancora acceso. Rabbrividendo, esco all'aperto, infilo i doposci e raggiungo i due che ancora fa buio e la fossa è pervasa da un silenzio quasi totale, inusuale per quanto eravamo abituati da quando siamo arrivati. Le figure in movimento che si scorgono in giro sono quelle di gente semi addormentata, che cerca di ravvivare il fuoco e di scaldare un po' di acqua o di caffè. Ivan e Palì ovviamente non hanno una faccia migliore degli altri, inclusa la mia. La notte deve essere stata dura per tutti, tranne forse Mario e i suoi, che non si alzeranno prima delle dieci, incredibile. Ma per loro sarà l'ultima notte, nel primo pomeriggio infatti ci verranno a salutare e ripartiranno per Milano, sempre scegliendo le strade più disagevoli, perché le autostrade non sono adatte per fare le foto. ![]() Durante la notte se n'è andata quasi un'intera fascina di legna, per mantenere acceso il fuoco. Però avrei sofferto moltissimo nell'alzarmi e dover patire ancora il freddo in attesa di accendere di nuovo il fuoco. Non c'è molta conversazione tra noi tre, riuniti intorno a questo bizzarro falò in pendenza. Man mano che il primo chiarore del sole illumina la landa, ci rendiamo conto dello scenario di desolazione che regna intorno a noi: nel raggio di qualche metro dal fuoco, in confuso disordine giacciono sulla neve ossi di braciole, padelle, boccali, la bambola gonfiabile di Palì, schegge di legno, per non parlare delle tracce giallastre dell'urina sulla neve, soltanto pochi metri più lontano, dove ieri sera eravamo andati in ordine sparso a fare pipì. Ci raggiunge Giorgio, che però sembra aver sofferto la notte meno di noi. Dalla borsa della mia spesa tiro fuori un cartone da un litro di latte, ovviamente congelato fino all'ultima goccia. Tolto il cartone, lo mettiamo in un pentolino a scaldarsi sul fuoco e poi ce lo gustiamo come colazione. Ci accompagnamo anche qualche quadretto del mio cioccolato al latte, croccante come non mai. Moroboschi fa in tempo a raggiungerci per l'ultima parte della colazione, lui che è magrolino e freddoloso ha la sofferenza dipinta in faccia, però non ha perso il buon umore e subito il clima si scalda con qualche battuta e il pensiero dell'impresa che abbiamo compiuto nelle ultime ventiquattr'ore. Nessuno lo vuole ammettere esplicitamente, ma in fondo siamo soddisfatti del record di temperatura di questi giorni. Un giorno potremo vantarci di aver partecipato all'Elefantentreffen, e quando qualcuno stancamente ci risponderà "ah sì, e a quale edizione?", risponderemo orgogliosi "a quella del 2005", e lo osserveremo soddisfatti ricacciarsi in gola ogni altra osservazione. Come dirà Palì, questo non è un motoraduno, ma un SOPRAVVIVIRADUNO. Noi motociclisti svitati siamo un po' così. ![]() Durante la mattina moltissimi campeggiatori con mia grande sorpresa abbandonano il raduno. Strano, avrei detto che il giorno di maggiore afflusso fosse oggi, e non riesco a capire se la gente se ne vada per non dover sopportare un'altra notte in queste condizioni oppure se la partenza fosse già programmata in anticipo. A dire la verità stamattina anche il buon Roberto ha un attimo di sbandamento, e medita seriamente di andare a dormire in albergo, si è informato e ne ha trovato uno poco distante che ha ancora qualche camera libera. D'altronde non posso non capirlo. Non c'è niente che mi trattenga qui se non l'orgoglio, cantava bene il buon Vasco Rossi, corri, e fòttitene dell'orgoglio, ne ha rovinati più lui che il petrolio. La foto della tenda che condivide con Mauro è impietosa: una piccola macchia marrone sul ciglio dello strapiombo, appoggiata sul bianco della neve, senza paglia né teli di plastica ad isolarla dal freddo del ghiaccio sottostante. Però alla fine Roberto è vittima anche lui dei suoi stessi sogni di gloria, e decide di rimanere e trascorrere anche la prossima notte insieme a noi. Ce ne rallegriamo tutti, in fondo è bello vivere questa avventura tutti insieme, è un punto di orgoglio anche per noi quello di non perderci nessuno per strada. Il lato positivo della gente che se ne va è quello di avere improvvisamente a disposizione un sacco di risorse in più, in particolare la paglia e un nuovo spazio per le tende. Con la tenda di Ivan e quella di Palì ci trasferiamo quindi nel nuovo spazio rimasto libero: non è nemmeno necessario smontarle, è sufficiente vuotarle dei loro oggetti più pesanti e sollevarle. Ora siamo a una decina di metri dalle tende degli altri, in mezzo a noi quella dei ragazzi di Trieste. La cosa più importante è che adesso abbiamo a disposizione un sacco di paglia. Un altro po' l'andiamo a recuperare in altre piazzole rimaste abbandonate, e la infiliamo sotto alle tende, il resto lo spargiamo intorno al nuovo focolare, finalmente anch'esso in piano. Il nuovo accampamento sembra quasi lussuoso, a confronto della sistemazione di ieri sera. In tarda mattinata facciamo il giro delle moto per verificare come hanno sopportato il freddo della notte. Le Africa Twin di Moroboschi, Palì e gli altri si accendono tutte, in genere al terzo o quarto tentativo. Ma le loro batterie rispondono bene, si vede che sono ben cariche. Io invece sono piuttosto preoccupato per quella della Transalp, sospetto fortemente una dispersione, già a Milano o a Roma quando a temperature intorno allo zero la lasciavo spenta per più di un paio di giorni l'unico modo per farla partire era a spinta in discesa. ![]() Così quando Roberto sale fino al parcheggio fuori dalla fossa per controllare anche la sua moto, accompagno Moroboschi e Max a fargli assistenza per verificare questo misterioso cuscinetto anteriore. Il suo cuscinetto risulta essere a posto, per fortuna, e allora io raggiungo la Transalp e rimuovo accuratamente il cellophan protettivo, che inevitabilmente si appiglia da tutte le parti tagliandosi alla minima pressione. Metto in folle, tiro l'aria e, dopo un attimo di esitazione, pigio il pulsante di accensione. Parte al primo colpo! Incredibile, adesso sì che ho un motivo di cui vantarmi con gli altri! Brava la mia motina, sono proprio soddisfatto. Mantengo il motore in moto per un bel po', e già che ci sono sposto la moto un po' più a valle, vicino all'ingresso della fossa, approfittando dei molti posti che si sono liberati questa mattina. Poi spengo il motore e rimetto accuratamente il telo protettivo. Tutta la carrozzeria è coperta di polvere bianca, so che è il sale e gli altri componenti chimici che vengono sparsi sulle strade per evitare che si formi il ghiacchio. Quando torno a casa dovrò lavarla di nuovo tutta accuratamente. Certo che a guardarla è proprio bruttina, con questo assetto invernale fatto di cupolino alto e mòffole. Ma d'altronde questo non è un viaggio di particolare interesse fotografico, come lo era stato quello dei Pirenei, e sono contento di avere montato tutto il possibile per limitare le sofferenze per il freddo. Lunedì dovrò essere di nuovo in ufficio, e in piena efficienza. E nonostante tutte le precauzioni, nonostante i costosissimi guanti invernali Dainese acquistati un mese fa in previsione di questi climi, al momento in cui scrivo [12 febbraio] sento ancora una parziale insensibilità ai polpastrelli delle dita, in particolare sui mignoli. A dimostrazione che l'Elefantentreffen non è un'impresa da prendere sottogamba. ![]() ![]() Al nostro accampamento per il pranzo è di scena la pastasciutta. I ragazzi della tenda di fianco ci hanno prestato il treppiede per poter sostenere il paiolo sopra la fiamma, e adesso è molto più facile scaldare l'acqua. Il problema è che in ogni pentola ce ne sta poca, e per sfamare tutti è necessario fare un sacco di cicli di bollitura e scolatura. Ovviamente lo scolapasta è un'altra di quelle cose che ci mancano, nei campeggi estivi ho spesso sopperito con una maglietta pulita, ma qui dobbiamo arrangiarci scolando in una seconda pentola, con risultati così e così. Più tardi Giorgio con una sbarra di ferro realizzerà dei buchi sul fondo della pentola di latta che ci eravamo portati da casa, realizzando uno scolapasta un po' artigianale ma di grande utilità pratica. Tanto quella pentola si era già deciso che non ce la saremmo riportata a casa... ![]() Palì si era portato dietro non so quanti chili di sughi pronti, e diamo fondo alla scorta, dal momento che nessuno di noi ha intenzione di riportarseli a casa, e alla fine dei conti ne risulta un pasto più che ricco, e poi nella più vera tradizione italiana. E se ognuno di noi riesce a ricevere il suo piatto, e per questo devo fare le mie congratulazioni a Palì, a Giorgio, a Massimo, a Moroboschi e a tutti gli altri che si sono prodigati affinché ci fosse da mangiare per tutti, e nonostante le condizioni avverse siamo stati sfamati in modo più che dignitoso. Non abbiamo niente da bere se non la neve (sporchiccia) riscaldata vicino alla fiamma. Io ho una bottiglietta di acqua minerale portata dall'Italia, ma devo tenerla sotto ai maglioni per farla sghiacciare. Dopo mezz'ora mi stufo e ci rinuncio, sebbene sia ben cosciente che sebbene con questo freddo non sentiamo molto la sete, di sicuro ci stiamo disidratando, e dovremmo bere di più. Ma è difficile lasciare che la razionalità prevalga, in casi come questi. ![]() Il nostro pasto è allietato dal fragore della moto del Lupo, che dà spettacolo sgasando in fuorigiri e suscitando l'ovazione del pubblico che accorre a spronarlo e ad applaudirlo ad ognuno dei suoi due o tre spettacoli quotidiani. La Lupomobile è soltanto una delle numerose moto personalizzate ad hoc per questo Elefantentreffen, ma è tra quelle più caratteristiche: l'originale Yamaha FJ1100 è stata camuffata fino a renderla irriconoscibile, tutta dipinta di blu, con le scritte GO !!! come quella di Valentino Rossi, di cui riporta anche lo slogan, Che spettacolo!, e più sotto 12 anni, 13 elefanti, il che fa supporre che timbri regolarmente il cartellino di presenza qui fin dal 1993 compreso. E poi, sparsi qua e là, corni assortiti, pelli sulla sella, fari antinebbia, un paio di sci smontabili. Il Lupo in persona, poi, è un personaggio in linea con la sua moto, per lo più italianissimo, dato che proviene da Pistoia. E ovviamente i suoi compagni di comitiva non sono da meno, con enormi scenografie ispirate agli elefanti costruite sulle loro moto. D'altronde, facendo un giro degli accampamenti, non si può fare a meno di notare che gli Italiani, se non una maggioranza, sono perlomeno una cospicua minoranza, che stimo in almeno un terzo dei partecipanti, forse di più ancora. E' una vergogna che tutto quello che è ufficiale, qui, sia esclusivamente in lingua tedesca: il sito web (c'è una sezione in inglese, ma è incompleta, e il link alla pagina italiana è obsoleto da anni), la pubblicazione con il programma della manifestazione, i cartelli, l'altoparlante che annuncia chissà che cosa (nessuno di noi tredici parla tedesco e non lo sapremo mai). Uno degli appuntamenti che mi interessano maggiormente è quello del premio per la moto più personalizzata. Ognuno dei candidati descrive (ovviamente in tedesco) al microfono le modifiche apportate al proprio mezzo, poi tutti applaudono e lo speaker annuncia qualche cosa, forse il vincitore, ma non si capisce un gran che, quindi mi distraggo e continuo il mio giro in quella che è universalmente chiamata la fossa. Sento all'altoparlante pronunciare una parola in italiano, Trapani, e poi tutti applaudire. So che uno dei premi è riservato al partecipante che viene da più lontano, e forse si tratta di questo. Sono orgoglioso di avere confermato una volta di più l'importanza che noi Italiani diamo al viaggio in moto, e alla presenza ad eventi simbolici come questo, e subito mi viene da pensare se non sarebbe giusto che, anziché andarne fiero, dovessi vergognarmene. Passeggio un po' tra le bancarelle in fondo alla fossa. Tutto intorno a me è un mercimonio, si vendono spille, maglioni, cappelli e bandane, tutto con il logo del raduno, quel brutto elefante stilizzato che però attira i pazzi di tutta Europa e che griffa oggetti per cui la gente è disposta a sborsare il doppio del valore. Dopo un giorno e mezzo di resistenza, alla fine cederò anche io e acquisterò la maledetta spilla alla quale fissare la targhetta con la scritta 2005, altrimenti inutile. Certo che in questo modo si rovina gran parte della poesia. ![]() ![]() Moroboschi ci chiede aiuto per spostare la sua moto e portarla in cima alla fossa, pronta per la partenza dell'indomani. Risalendo ne approfitto per fare due passi per l'accampamento in compagnia di Roberto. Attacchiamo bottone con un gruppo di ragazzi di Forlì, tutti seduti intorno ad un fuoco come lo eravamo noi, che ci offrono qualcosa da bere e soprattutto ci raccontano di un altro famoso raduno invernale, il Pinguinos, che si organizza in Spagna intorno all'Epifania. Lì si, ci dicono, che le cose sono fatte bene. Innanzi tutto un palazzo dismesso nel quale dormire, poi spettacoli, gadget, tutto gratuito, e in un clima molto più piacevole. Solo che, dannazione, lo fanno lontanissimo da qui e dall'Italia, quasi in Galizia, e ci vogliono due giorni di viaggio solo per arrivarci. Però è il segno che questo Elefantentreffen ha perso un po' questa aura di mito e comincia a trovare dei rivali. Certo che questo panorama di tende sulla neve a perdita d'occhio è davvero spettacolare, e di sicuro è unico e ineguagliabile. Il termometro dei triestini segna -6°, è la temperatura massima della giornata. A noi sembra quasi che faccia caldo, si riesce anche a resistere per qualche minuto senza guanti. Spostare la moto di Moroboschi è una faticata colossale, ci mettiamo in quattro a portarla su quasi di peso, cadiamo anche tutti insieme un paio di volte, nemmeno le scarpe riescono a fare presa su questo fondo ghiacciato, figuriamoci i pneumatici che devono sopportare il peso della moto, del suo pilota e di Alex che si siede al posto del passeggero per cercare di fare gravare maggior peso sulla ruota posteriore per evitare che slitti. Dopo il mio turno di sforzi, tiro fuori la videocamera e filmo il resto, che resti almeno una documentazione delle faticate che ci stiamo facendo in questi giorni. Quando siamo di nuovo tutti radunati intorno al fuoco, ad una rapida analisi ci rendiamo conto che la legna non basterà per tutta la notte. Sono ben contento di unirmi a Moroboschi, Palì e Giorgio per andare a comprarne altre due fascine, almeno facendo movimento mi riscaldo un po'. Incredibilmentre l'enorme provvista di legna degli organizzatori è quasi terminata, ci dobbiamo accontentare dei tronchi ricoperti di neve e di ghiaccio, legati malamente con dei legacci che si aprono al primo movimento e scartati da tutti gli altri. Casualmente tiro fuori la videocamera proprio mentre Moroboschi decide di trasformarsi in palla da bowling e usare Palì come birillo, proprio sotto ai miei occhi e dandomi l'occasione per lanciare alla grande la mia candidatura per il premio Pulitzer. | |||||||||||||
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Mi faccio prestare da Palì la sua macchina fotografica digitale e scatto ad ognuno degli Sporchi Enduristi una foto ritratto con già l'idea di inserirla nel report che scriverò. Sono immagini che documentano il freddo, la stanchezza ma anche l'allegria e l'ottimismo di questo momento, specialmente se si considera che tutte queste foto (compresa quella che mi sono fatto fare da Mac) sono il 'primo tentativo', nessuna è stata rifatta perché l'espressione non risultava soddisfacente. Ognuno si è fatto ritrarre nel modo che più ha preferito, compreso Ivan, irriconoscibile dietro agli occhiali da sole, al cappello e alla sciarpa.
![]() Prima che venga buio, si fa un ultimo giro nei dintorni. Se ne vedono davvero di tutti i colori, specialmente lungo la stradina che dall'ingresso scende verso la fossa, è un continuo andirivieni di gente, di moto, tutti avvolti nella puzza di benzina e olio bruciati, nei fumi dello scappamento dei vecchissimi sidecar Zundapp (chissà che qualcuno non sia reduce dalle prime edizioni), dalle urla di chi sta venendo giù sparato e chiede strada o di chi chiama l'amico più sotto. Chi tira, chi spinge, chi apre il gas. E' tutto pazzesco. Grandioso. Irrazionale. ![]() E per chi assiste a tutto questo il primo istinto è la preoccupazione che da un momento all'altro qualcuno possa cadere e farsi male davvero, rompersi l'osso del collo e magari trascinare qualcuno nell'incidente. E invece come per miracolo tutto viene evitato all'ultimo momento, nessuno va a cozzare, nessuno viene investito. E' come se tutto il campo si muovesse in sincronia, l'Elefante ha il suo equilibrio. Con mio stupore, di quad se ne vedono pochissimi, e di quei pochi quasi tutti fanno parte dell'organizzazione. Come se in questo mondo senza tempo le nuove mode non avessero attecchito. In compenso, a farla da padrone sono i sidecar. Alcuni si sfidano in prove di coraggio buttandosi giù per una discesa innevata, altri danno spettacolo con evoluzioni sulla neve e quelli che su asfalto si chiamerebbero burn-out. Nessuno dei sidecar ha ovviamente problemi di equilibrio, ma la cosa più divertente è vedere gli occupanti che anziché mirare ad alleggerire il peso come si farebbe in condizioni normali, su questo fondo a bassa aderenza si ammassano in due, tre o anche quattro sull'asse posteriore, per garantire maggiore aderenza alle ruote. E questi bestioni, che a pieno carico non distano di molto dalla tonnellata, schizzano sulle salite neanche fossero una moutain bike. ![]() ![]() Molte motociclette montano catene da neve, alcune anche sulla ruota anteriore. Professionali quelle tedesche, palesemente autocostruite quelle degli italiani. Altre moto montano degli sci retrattili, su molte altre sono stati installati dei pneumatici da automobile. So che qui in Germania le normative di omologazione sono più permissive che in Italia, ma certe volte ho proprio l'impressione che a volte si esageri. Per la verità, alle vere esagerazioni non eravamo ancora arrivati. Accompagnando Roberto e Mauro in una passeggiata in direzione di Solla (anche se non arriverò fino al paese) trovo, parcheggiate in mezzo alle migliaia di altre moto, alcune autentiche sorprese, una delle quali è la Suzuki Hayabusa (la moto in commercio più veloce del mondo) in formato sidecar (anch'essa con pneumatici da automobile, piatti e larghi), tenuta benissimo ma terribilmente incrostata di sale e ghiaccio. Altri mezzi appartenenti alla preistoria del motociclismo sono disseminati qua e là, e passano quasi inosservati nel panorama generale. Molti di questi vengono dall'est Europa, dove probabilmente fino a quindici anni fa erano la norma. ![]() ![]() La gente è pazza, tutto intorno a noi. L'italiano (ma come mai devono essere sempre italiani, questi) che si mostra nudo a dieci sottozero forse ha l'attenuante della sbronza. Ma i vespisti veneti che sono arrivati fino qui quell'attenuante di sicuro non ce l'avevano. Quella è un'impresa che va pianificata con accuratezza. La cosa notevole è che alcune di quelle motorette sono solo cinquanta di cilindrata, quindi della comoda autostrada del Brennero neanche a parlarne. Diavolo, quei matti si sono valicati le Alpi passando per le strade statali, forse fanno parte di quel gruppo di fanatici che intende andare in Patagonia in Vespa tra qualche mese, e hanno fissato come condizione per aggregarsi alla comitiva la partecipazione all'Elefante di quest'anno, per sfoltire il numero dei partecipanti che altrimenti sarebbero stati troppo numerosi! E' proprio vero, la più grossa collezione di svitati d'Europa la si può trovare qui. Ritorniamo di nuovo all'accampamento. Il calore del fuoco e la sicurezza del gruppo fanno sentire il loro richiamo dopo mezz'oretta che se ne rimane distanti. E poi l'accampamento in questo secondo giorno è davvero confortevole. Una garitta di legno alle nostre spalle ci ripara dal vento, che per fortuna si mantiene debole per tutto il tempo. ![]() ![]() Quando un paio di braciole rimangono a carbonizzarsi sulla graticola senza che nessuno si avventi a prenderle, capiamo che siamo finalmente sazi. Il Maculato scatta foto a ripetizione con la sua reflex, esaurisce presto le pellicole che si era portato da Roma e gliene regalo una delle mie. ![]() ![]() Poco più distante un gruppo di motociclisti veneziani ha issato la bandiera della Serenissima di fianco al tricolore. In questa landa fredda ognuno si porta dietro un pezzo di casa. E poi è un modo per riconoscersi, e per familiarizzare, il riconoscimento della nazionalità è una scusa per attaccare bottone, per domandare una pentola in prestito, o chiedere informazioni sulla strada per il ritorno. I ragazzi che hanno issato la bandiera del Portogallo sulla loro tenda vicino all'ingresso avranno di certo ricevuto la visita di ogni altro partecipante portoghese, e se sono arrivati fino a qui in moto forse sono davvero loro quelli provenienti da più lontano. Ma quando scende di nuovo il buio (qui siamo più a est rispetto all'Italia, e molto più a nord, quindi viene buio prima) tutte le caratterizzazioni delle tende diventano invisibili e rimangono solamente i fuochi e le voci, quelli sì universali. Il freddo mette di nuovo appetito e toglie le energie. Ci ritroviamo di nuovo tutti sbragati intorno al fuoco, a pisolare con un occhio e con l'altro a sorvegliare la cottura delle costine. Per toglierle dalla confezione e depositarle sulla graticola a volte non tolgo nemmeno i guanti, e quando li tolgo uso le stesse mani che da ieri sono incrostate di quel maledetto spray che sui pneumatici non ha aderito, mentre dalle mie dita non sembra avere la minima intenzione di staccarsi. ![]() ![]() A chi ci vedesse dall'esterno, proveniente da un mondo civilizzato, appariremmo come dei barbari, tutti svaccati intorno al fuoco, sdraiati sulla paglia e intenti a strappare la carne semicruda con le mani. Di tanto in tanto anche la paglia prende fuoco, e allora l'adrenalina comincia a scorrere in circolo e ci desta dal nostro torpore, in un secondo siamo tutti in piedi a soffocare le fiamme e a ridere come degli asini. Un bengala sibila verso l'alto e ridiscende senza spegnersi, atterrando poco distante dalle nostre tende, incidentalmente proprio sulla paglia che circonda le tende dei nostri vicini. La paglia prende fuoco immediatamente, spegnerla anche in questo caso è un attimo, ma questo perché ancora non dormiva nessuno. Cosa succederebbe se la paglia si incendiasse intorno alle tende proprio mentre siamo tutti addormentati? Sono pensieri che ci sfiorano senza toccarci, ora che siamo qui ci sentiamo invincibili e non riusciamo a credere ad un'eventualità del genere. L'altoparlante continua a gracchiare qualcosa in tedesco, ma nessuno presta attenzione. Mi viene in mentre che nella busta delle provviste che mi ero portato da San Donato avevo anche un sacchetto di mandaranci, li tiro fuori ma sono duri come pietre, li condivido con gli altri ma prima è necessaria una buona mezz'ora presso al fuoco per ammorbidirli a sufficienza. Qualcuno tira fuori una bottiglia di grappa, ma tutt'al più adesso contiene una granita di grappa. ![]() ![]() Anche il butano del fornelletto è ghiacciato, e per bere dobbiamo sciogliere la neve sul fuoco. Mi allontano di qualche metro per andare a fare pipì, con l'urina sento il calore fluire fuori dal mio corpo, e non posso fare a meno di rimpiangere un poco la perdita. Il Maculato prova una spedizione ai WC chimici, ne ritorna torna piuttosto soddisfatto ma soprattutto lieto di esserci andato solo dopo il calare delle tenebre: occhio non vede, cuore non duole. Un paio di spinelli girano intorno al falò, e il vento porta il profumo di migliaia di altri spinelli accesi tutto intorno a noi, in questa enclave autogestita dove le leggi non valgono e la polizia non mette il naso. Io mi ero portato una decina di pacchetti di fazzoletti, incerto fino all'ultimo se per caso non fossero troppo pochi. E invece nessuno di noi si è ammalato, nessuno si è preso nemmeno un raffreddore. Evidentemente anche i virus a venti sottozero muoiono. ![]() Il Maculato intona qualche canzone intorno al fuoco. Gli faccio eco dapprima io, poi di tanto in tanto si aggregano gli altri. E il repertorio spazia dai Nomadi a Daitarn 3, con tutte le possibili sfumature, fino a quando Mac non la butta un po' troppo sui testi intellettuali e non riesce a trovare nessuno che lo possa accompagnare. E' però il segnale che la stanchezza sta prendendo il sopravvento. Ad uno ad uno i valorosi sporchi enduristi si staccano dal giaciglio di paglia e dal tepore della fiamma, e si avviano a passi stanchi in direzione delle loro tende. Beati loro che riescono a dormire anche a queste temperature... Rimaniamo come al solito Ivan, Palì ed io. Tutti e tre stretti intorno al falò, basta allontanarsi di un metro che già il calore non arriva più, e l'idea di infilarsi in tenda, dentro al sacco a pelo incartapecorito dal ghiaccio non mi attira molto. I ragazzi triestini della tenda di fianco, che erano rimasti a chiacchierare sommessamente tra di loro nelle ultime due ore, ascoltando i nostri discorsi e le nostre battute e probabilmente sorridendone, vedono che stiamo anche noi per crollare e ci invitano a resistere ancora qualche minuto, che il beverone magico è quasi pronto. All'unisono aguzziamo le orecchie. Beverone magico? Suona intrigante, e potrebbe essere un'idea, anche per me che in genere non bevo alcol, ma il beverone, qualunque cosa sia, questa notte potrebbe stendermi a sufficienza per permettermi di addormentarmi per qualche ora. ![]() Ci vuole un po' di tempo, ma in compenso abbiamo modo di seguire tutte le fasi dell'operazione. Ci spiegano che il Gran Pampèl è una bevanda inventata da un gruppo di ricercatori della facoltà di speleologia dell'Università di Trieste, e il segreto della sua preparazione è meglio custodito di quello della Coca Cola. L'unico detentore della formula è un personaggio che ha dei legami con gli antichi druidi, e il beverone viene periodicamente preparato durante cerimonie particolari che seguono riti simili a quelli celtici. Ovviamente quello che ci viene preparato davanti agli occhi è un'imitazione imperfetta, ma resta impressionante la quantità di roba che viene riversata dentro al calderone che penzola sopra al fuoco acceso: bottiglioni senza etichetta (frutto forse di qualche distilleria clandestina?), vino rosso, pezzi di frutta, tutto mescolato con un cucchiaione di legno. Alla fine il risultato si direbbe una specie di sangria brulè. Il ragazzo che l'ha preparato ce lo mesce nei boccali di latta che gli porgiamo con impazienza, e poi rimane per qualche secondo a studiare l'effetto. Io lo assaggio con circospezione: è dolce, caldo, inaspettatamente poco alcolico... buono! Stringo il boccale tra le mani per assorbirne il calore, e ringrazio di cuore i ragazzi che ci hanno regalato questa esperienza. In realtà l'alcol c'è, anche se si percepisce poco. Me ne renderò conto quando mi avvierò barcollando verso la mia tenda. Probabilmente il fatto di essere poco abituato a bere mi aiuta, questa volta. L'alcool entra in circolo rapidamente e, aggiunto alla stanchezza cronica del momento, mi dà quel senso di sonnolenza di cui avevo bisogno, e, soddisfatto della cosa, mi preparo per trascorrere questa seconda e ultima notte. ![]() Sento Palì e Ivan chiacchierare sommessamente pochi metri più in là. Hanno deciso di trascorrere la notte vicino al fuoco, e forse non hanno tutti i torti, l'unica accortezza necessaria è quella di non fare spegnere la fiamma. Io preferisco ancora una volta il riparo della tenda, anche se so già che l'esperienza non sarà molto migliore della notte precedente. Agito per bene gli scaldini chimici per i piedi e li infilo accuratamente tra i due strati di calzettoni, prima di accorgermi di aver sbagliato, quelli che avevo aperto erano quelli che hanno bisogno di ossigeno. Tira fuori tutto di nuovo (che sacrificio doversi sfilare i calzini a dieci sottozero!) e ripeti l'operazione. Entro in tenda e cambio la strategia di avvoltolamento: non più il doppio sacco a pelo con la coperta termica esterna, ma la coperta all'interno del solo sacco a pelo invernale: due sacchi a pelo insieme non consentivano una chiusura adeguata, e la coperta all'esterno tendeva troppo ad aprirsi. Tutto questo, unito alla paglia interposta tra la tenda e la superficie ghiacciata, e alla temperatura di qualche grado superiore a ieri notte mi dovrebbero garantire un comfort leggermente migliore. Mi accorgo quasi subito che gli scaldini chimici stavolta non stanno funzionando. Pazienza, non mi va di uscire dal vago tepore del sacco a pelo, sfrego i piedi l'uno contro l'altro e riesco a riscaldarmi lo stesso, almeno fino a quando rimarrò sveglio. Piano piano, tutta la vallata scende nel silenzio e contemporaneamente l'alcool, la stanchezza e il freddo mi stordiscono progressivamente fino a farmi sprofondare in quello che formalmente si può definire sonno. Heeeeeelgaaaaa. Mi sveglio. Dannazione. Dannazione. Ero riuscito a farcela, ero riuscito ad addormentarmi, il sonno è la cosa di cui ho più bisogno in questo momento e quel dannato ubriaco me l'ha rovinato. Domani mi toccano ottocento chilometri in moto e il riposo mi era necessario per garantirmi i riflessi pronti. So benissimo chi è stato a rovinare tutto. Sento Ivan grattare all'esterno della tenda e poi entrare sbuffando, evidentemente anche lui svegliato da quel grido. E, benché il cervello non abbia mai impartito quell'ordine, sento la mia voce biascicare: "Ivan, ti prego, vai da quel dannato polacco e tàgliagli la gola". Ma Ivan non andrà a tagliargli la gola. Si accoccola invece di fianco a me, nella tenda troppo stretta per due persone e prova anche lui a prendere sonno. Siamo proprio scomodi, e nemmeno il calore di due persone riesce a creare un microclima decente qui dentro. Rotoliamo alla ricerca della posizione migliore, sfreghiamo le mani e i piedi per riscaldarci e finiamo per cozzare l'uno contro l'altro per tutta la notte. ![]() La prima luce del mattino ci vede tutti di nuovo raccolti intorno al fuoco, intenti a ravvivare le braci che si sono quasi spente durante la notte. E' stata una nottata tremenda come la precedente, ma l'adrenalina che mi scorre in corpo mi fa sentire ottimista e di buon umore. Nelle intenzioni dei giorni scorsi, gli Sporchi Enduristi romani sarebbero dovuti andare a pernottare di nuovo a Bolzano questa notte, per poi affrontare il resto del viaggio fino a casa domani, lunedì. Io invece domattina devo essere al lavoro a Milano, e quindi non ho altre alternative se non quella di farmi tutta una tirata fino a questa sera. Anche Ivan aveva la stessa esigenza, e si era rimasti d'accordo di fare il viaggio insieme. Poi però ci ripensa e preferisce prendere un giorno di ferie per spezzare anche lui il ritorno in due tappe. Io devo quindi partire più di buon'ora rispetto al resto del gruppo, se non voglio arrivare a casa troppo tardi. Roberto propone di viaggiare insieme fino a Bolzano, anche lui preferisce partire prima e procedere ad un'andatura più moderata di quella dell'andata, che non lo aveva fatto sentire a suo agio. Così quando mi sveglio comincio subito a preparare i miei bagagli e poi aiuto lui a preparare i suoi. ![]() Il sacco a pelo invernale non ho nessuna possibilità di piegarlo accuratamente per infilarlo nella sua custodia. Lo arrotolo alla meno peggio e lo blocco con un tirante elastico. Incredibilmente invece il sacco a pelo piccolo riesco a piegarlo tutto e ad infilarlo nella borsa da moto, insieme alla tenda (che non ho nemmeno aperto), al fornelletto a gas (idem, non usato), al mio fedele rotolo di carta igienica che mi accompagna in tutti i miei viaggi in moto (quanto strane sono le cose a cui uno si affeziona di più!) e alle provviste rimanenti. Roberto dice che non ce la farà ad essere pronto nemmeno per le nove, la preparazione dei suoi bagagli è ancora in alto mare, e temo di capire come andrà a finire. Insieme a Ivan smontiamo la sua tenda, e sono già rassegnato a farmi il viaggio da solo quando vengo a scoprire che anche Stefano vuole arrivare a casa in giornata (lui è di Pesaro), ed è pronto a partire. Addirittura aveva portato i bagagli alla moto fin da ieri sera, quindi adesso gli rimane solo da indossare il casco. In cinque minuti sono pronto anche io, ma, come la cicala della favola, non ho pensato ad avvantaggiarmi nel trasporto dei pesanti bagagli, e per non fare due viaggi sono costretto a chiedere a Stefano di portarmi la borsa da serbatoio su per la salita fino a dove è parcheggiata la Transalp. Saluto tutti, con le consuete promesse di rivedersi, a Roma, a Genova o ad Ancona, o magari al prossimo Elefante, che sarà quello del cinquantenario. Rimango d'accordo con Roberto di aspettarlo al primo benzinaio sulla strada per l'autostrada, mi telefonerà se risulterà che i suoi preparativi si protraggono troppo a lungo. L'area di ingresso è una bolgia, e probabilmente lo sarà ancora di più nelle prossime ore. Tutti quelli che sono arrivati a scaglioni negli ultimi giorni, tutti i diecimila (ma saranno davvero diecimila, quest'anno?) partecipanti al raduno stanno partendo questa mattina e il caos è totale, tra l'assordante rumore di marmitte e l'odore dei gas di scarico che risulta insopportabile. Lo spirito di cameratismo di questo luogo, di questi giorni, sembra svanito, ognuno ha premura di partire il più in fretta possibile, per evitare di rimanere imbottigliato nell'esodo che raggiungerà il culmine di qui a un'ora, e magari riuscire ad arrivare a casa prima che faccia buio. ![]() Stefano mi aiuta a depositare i bagagli di fianco alla moto. Prima ancora di fissarli, provo ad avviare il motore, sperando che anche questa mattina mi riservi la piacevole sorpresa di ieri. E invece niente da fare, la batteria stavolta non ce la fa. Inutile fare più di un paio di tentativi, non otterrei altro risultato che scaricarla inutilmente. Per fortuna la stradina è in leggera discesa, e posso provare ad avviarla a spinta, come ormai sono abituato a fare. Così abbandono tutti i miei bagagli (compresi GPS, videocamera ecc) incustoditi a lato della strada, confidando nell'onestà di questi motociclisti, e spingo la moto giù per la strada, urlando "Pistaaaa" per fare scansare le decine di pedoni e di motociclettine che mi si frappongono davanti. Ho spazio per tre o quattro tentativi fino all'area centrale, ma ogni volta che rilascio la frizione semplicemente il motore non si avvia, e la ruota posteriore si blocca, scivolando sulla superficie parzialmente ghiacciata e rischiando di farmi cadere. ![]() Vedo Max sulla sinistra, che sta portando anche lui i bagagli alla moto. Gli faccio segno che il motore non parte, e lui mi indica il camion dei pompieri. Lo raggiungo a spinta, un po' diffidente, chissà che Max non abbia capito male. E invece sono proprio nel posto giusto, i vigili del fuoco mi fanno cenno di avvicinarmi, in due secondi smonto la fiancatina ed espongo la batteria. In altri due secondi uno di loro ha collegato i cavetti, pigio il bottoncino e i cilindri della Transalp tornano a ruggire. Ringrazio di cuore, e rimango per qualche secondo esitante, pronto a pagare per il servizio reso. Invece no, gli uomini in divisa mi fanno segno che è tutto a posto, però è meglio che mi sposti perché nel frattempo dietro di me si è formata una fila di tre o quattro moto, anche loro bisognose del servizio di ripartenza. Curiosamente, molte di queste moto sono BMW nuove di pacca... Rimonto la fiancatina, mi accodo al flusso di moto in risalita, sempre con la gamba sinistra di fuori perché il fondo è ancora leggermente ghiacciato e non si sa mai, raggiungo i miei bagagli e li rimonto mentre Stefano, imperturbabile dietro al suo casco, ma forse un poco spazientito, mi aspetta. E poi si parte davvero, in due minuti siamo al primo incrocio e mi fermo per scoprire quale sia la direzione giusta. Di cartelli stradali non se ne vedono, la maggior parte delle moto prosegue diritto, domando informazioni ai poliziotti che presidiano l'incrocio dentro ad un fuoristrada. Non solo non parlano inglese, ma, alla mia rozza richiesta di "Otobàn Mùnscen" (che non dovrebbe distare più di una decina di chilometri) alzano le spalle dubbiosi, e così decido di seguire la massa e, con Stefano sempre a scortarmi, vado dritto. Troppo tardi mi viene in mente che questo è il luogo dove erano parcheggiate tutte le automobili quando siamo arrivati venerdì sera, e che eravamo arrivati da sinistra. ![]() Anche questa strada è panoramica e spettacolare come quella dell'andata, con in più il vantaggio di essere più larga e avere il fondo in condizioni migliori. Smetto di preoccuparmi delle possibili scivolate e mi godo il paesaggio ricoperto di neve ovunque, con gli alberi che arrivano fino al margine della strada e a volte i loro rami sembrano essere di cristallo, così ricoperti di ghiaccio come sono. Ci fermiamo al primo benzinaio, Roberto ancora non si è fatto vivo, e mentre Stefano riempie il sebatoio della sua Africa Twin gli telefono. Macché, ancora deve partire, e ha deciso di fare la strada per Bolzano insieme agli altri. Sono doppiamente lieto a questo punto di aver trovato un compagno di viaggio, almeno fino alla pianura Padana: già la scorsa estate ho fatto un tappone in moto in solitaria dalla Germania all'Italia e lo ricordo come una noia mortale. La scorta di un amico allevia di molto la solitudine e l'ansia che in genere l'accompagna. Ci metto un po' ad accorgermi di un effetto curioso. Sull'asfalto bagnato c'è una sola traccia longitudinale asciutta in mezzo alla corsia, anziché due. Quasi nessuna automobile è passata di qui stamattina, mentre evidentemente sono centinaia le moto che ci hanno preceduto e hanno lasciato il segno dei loro pneumatici sull'asfalto. In un altro quarto d'ora siamo sull'autostrada, c'è subito il sontuoso ponte sul Danubio e poi è tutto un superare altre moto ed esserne superati. Tra le altre, ne noto una con la targa "TR", probabilmente si tratta proprio del trapanese che hanno premiato che sta incominciando il lungo viaggio verso casa. In cima ai cavalcavia i genitori portano i figli ad ammirare lo spettacolo degli Elefanti che tornano a casa, e sfrecciando ai centoventi all'ora con le mani saldamente infilate dentro le mòffole mi dispiace di non poter rispondere al saluto di tutti coloro che sventolano le braccia sorridendo, alcuni addirittura da dentro le rare automobili che percorrono la stessa autostrada con noi. Ogni volta che sorpasso un compagno di avventura saluto gioiosamente con il piede, saluto con sincerità anche gli scooter, che normalmente snobbo ma che questa volta rispetto ed ammiro: sono loro i veri eroi di questa avventura. Il ricordo più vivo di questo tratto è il sole abbagliante sulla neve bianca. Neve bianca ovunque, fino al Brennero. Il termometro da moto di Stefano si mantiene intorno ai -6° fino a Monaco, la strada è buona e mantengo con tranquillità i 120 all'ora, anche se non vedo l'ora di arrivare al primo autogrill, che dovrebbe essere dalle parti di Monaco, per fare una pausa e riscaldarmi. Incredibile, in un tratto di centoquaranta chilometri di autostrada non c'è un solo distributore di benzina! E dire che chi decidesse di installarne uno, con tutti i soldi del pieno che gli lascerebbero gli Elefanti questa domenica mattina potrebbe campare di rendita per il resto dell'anno. Quando entriamo nella circonvallazione di Monaco comincio a sentire la ruota posteriore un po' pesante. Sospetto di avere forato il pneumatico, e rallento vistosamente l'andatura. Stefano mi rimane dietro pazientemente, sicuramente mi avvertirebbe se vedesse la gomma sgonfia, e questo mi rassicura, probabilmente è solo un effetto dovuto allo strano asfalto. Però fino a quando non arriviamo al sospirato autogrill non mi fido a spingere oltre una velocità moderata. Come prevedibile, l'area di sosta è affollatissima di motociclette, molti sono intenti a fare benzina, moltissimi altri viaggiatori hanno parcheggiato la moto e fanno la fila al bar per un bicchiere di qualcosa di caldo. Scorgo in un angolo una Goldwing che mi è familiare. E' il nostro amico Antonio che infatti incontro insieme ai suoi due compagni di viaggio mentre sbocconcella una ciambella enorme al bar. Grandi pacche sulle spalle reciproche, ci si raccontano le vicissitudini degli ultimi due giorni e per l'ennesima volta ci si saluta come se non ci si dovesse rivedere più, almeno fino all'anno prossimo. E, ovviamente, per l'ennesima volta ci sbaglieremo. Faccio due chiacchiere anche con un altro signore italiano un po' attempato, che mi racconta che quest'anno era arrivato al raduno fin dal giovedì mattina, ma aveva ugualmente trovato le piazzole migliori già occupate da altre tende. Fin da giovedì? E cosa si fa per tutto quel tempo in quella landa desolata? Niente, risponde lui, si aspetta. Fa finta di non notare il mio sguardo perplesso e si allontana borbottando qualche imprecazione contro questi maledetti tedeschi che arrivano fin dalla domenica, non c'è davvero più religione. Ho come l'impressione che questo raduno stia diventando una cosa un po' troppo status symbol, che ci sia gente che lo prenda troppo seriamente: quando l'atto di presenza diventa una questione di principio più che una di incontro e divertimento è segno che una manifestazione sta cambiando la sua filosofia ispiratrice. ![]() Il giorno dopo il nostro ritorno il buon Ignazio/Posaja disegnerà una vignetta che racconta la nostra impresa, al confine fra l'epopea e l'idiozia: quello ritratto è il nostro presidente-webmaster Moroboschi, ma la motocicletta viola sulla sfondo è per forza la mia Transalp. Questa edizione del raduno verrà ricordata per un bel po', per le condizioni proibitive in cui si è svolta. Come dirà Ivan in una frase che rimarrà storica, Non abbiamo fatto l'Elefanten, abbiamo fatto IL Elefanten. La ruota posteriore risulta gonfia come al solito, e possiamo riprendere la marcia di buona lena. Poco oltre il confine austriaco sorpasso quattro custom che, una volta superate, aumentano leggermente l'andatura e si accodano a Stefano. Un altro paio di moto raggiungono la colonna da dietro e invece di superarci si accodano a loro volta. Il viaggio è lungo e fa piacere formare un gruppo improvvisato così, forse per la sicurezza di sentirsi parte di un tutto. Tante amicizie dell'Elefante sono cominciate così. Il risultato è che per la lunghezza di mezza Austria ogni volta che guardo negli specchietti retrovisori scorgo le luci di sette fari dietro di me, allineati in fila indiana in un corteo che, in un modo o nell'altro, ha scelto me come guida. E ne sono talmente fiero che passo il tempo a contemplarli tutti nello specchietto, quasi trascurando la strada dinanzi a me. Fino a che svoltano in autogrill e alla retroguardia rimane la familiare sagoma dell'Africa Twin di Stefano. Chiunque voi foste, ragazzi, è stato un onore essere scortati da voi. Le cime innevate sulla destra, poco oltre Innsbruck, sono splendide. Il cielo è limpidissimo e la neve scintilla sotto i raggi del sole, un panorama da cartolina. Mi piacerebbe terribilmente accostare un minuto e scattare qualche fotografia, ma so che Stefano ha fretta, e in ogni caso dovrei chiedere l'uso della sua macchina fotografica. Rinuncio a malincuore, e mantengo il polso destro sempre sulla manopola dell'acceleratore. Sul Brennero la solita rapina di otto euro per il tratto di tre chilometri di autostrada privata per passare il ponte dell'Europa. Al casello mi fermo un minuto a filmare con la videocamera le innumerevoli motociclette italiane che calano dalla Germania e a scambiare qualche parola con un padovano che da mezz'ora sta aspettando il suo compagno di viaggio che, si scoprirà, si è fermato all'ultimo autogrill a fare il pieno e ha la batteria del cellulare scarica. Il termometro di Stefano segna -11°, come all'andata, ma il freddo mi dà fastidio quasi solamente alle dita delle mani. E poi l'aria di Italia che ormai si respira mi dà nuovo entusiasmo. Dietro una curva a destra scorgo il cartello sotto al quale mi feci un autoscatto lo scorso agosto, in quella tappa allucinante di ritorno da Berlino sotto il diluvio di pioggia. E mi rendo conto di quanto dovevo essere fuori di testa quel giorno: non c'è nemmeno lo straccio di una corsia di emergenza dove accostare la moto, e si è totalmente esposti al traffico degli autotreni che, lanciati in discesa, corrono ai centoventi all'ora. Il casello dell'autostrada italiana. Riparto, sono sulla corsia di destra, un'automobile bianca lontano davanti a me accende per un secondo le luci di stop e poi riaccelera. Istintivamente allento leggermente la pressione sull'acceleratore. L'automobile continua a procedere lentamente e tocca di nuovo i freni. A questo punto smetto di accelerare e sfioro i freni anche io, studiando il modo di sorpassarla. Niente da fare, sulla corsia di sinistra le automobili ruggiscono, accelerando dopo il casello e ormai veloci il doppio di me. Quella dannata macchina bianca ora frena con decisione, faccio una fugace pensata a buttarmi in corsia di emergenza per evitarla, ma rinuncio subito, mi aspetto che l'autista sia sufficientemente sano di mente per accostare lui. Intanto sto frenando seriamente anche io, modulando la forza sulla leva nell'usuale sospetto del ghiaccio sull'asfalto bagnato, qui a millequattrocento metri di quota e undici sottozero. La Transalp è carica come un mulo e pesantissima, la strada in leggera discesa, l'auto bianca è sempre più vicina e capisco subito che non ce la farò ad evitare del tutto l'impatto. Rallento il più possibile, e quando il pneumatico anteriore tocca il paraurti sento un leggero plof, la Transalp rincula all'indietro e si ferma del tutto. L'adrenalina mi sta scorrendo a litri, in un secondo capisco che è tutto finito bene ma il sospiro di sollievo subisce la forza maggiore della rabbia che mi esplode fortissima. L'ometto ticinese che esce dalla scatoletta non ha l'aria di aver capito molto della sciocchezza che ha appena fatto, fermare l'automobile in piena corsia autostradale. Lo aggredisco a parole, ruggisco "Cosa diavolo combini?", forse per la prima volta in vita mia oltrepasso i limiti del politicamente corretto (nessun insulto, beninteso) ma sono ben cosciente che avrei anche potuto rimarci secco, per questa sua leggerezza. Niente. Il ticinese continua a guardarmi con sguardo ebete, forse non parla nemmeno italiano. Lancio uno sguardo al suo paraurti, nessun segno se una leggera traccia verticale di pulito in mezzo alla polvere imperante. Anche la mia ruota anteriore sembra a posto, i raggi sono ben tesi e il pneumatico sempre ben gonfio. D'altronde mi ero ben accorto che quando ci siamo toccati anche io ero praticamente fermo. Stefano intanto si è fermato dietro di me, e le altre automobili ci sfilano sulla sinistra, incuriosite. La moglie del ticinese esce dalla portiera destra: è una donnina bionda e minuta, che domanda, in un italiano flebile: "Tutto bene?". Ripeto le mie parole di rabbia anche al suo indirizzo, poi capisco l'andazzo e annuisco, "tutto bene". I due danno un'occhiata al paraurti, mormorano qualcosa in tedesco, salutano e se ne ripartono a rotta di collo. Roba da pazzi. Due parole con Stefano e poi ripartiamo anche noi: un paio di chilometri a bassa velocità per assicurarmi che la moto non abbia davvero subìto danni, e poi via di nuovo come il vento, tutto finito e tutto dimenticato. Così come all'andata, le cime su questo versante meridionale delle Alpi non sono innevate, però mi godo il paesaggio che avevo attraversato la scorsa estate quando ormai era buio e non riuscivo a vedere che le luci dei paesi e dei castelli arroccati sui versanti a dominare la vallata. Questa volta riesco a godermi tutto il panorama, perdipiù la temperatura sta salendo rapidamente e, per la prima volta dopo giorni, torniamo ad avvicinarci agli zero gradi. E' un piacere guidare, peccato che le motociclette intorno a noi si facciano via via più rade man mano che scendiamo a sud. Saranno all'incirca le due e mezza quando ci fermiamo all'autogrill di Paganella ovest, i morsi della fame si fanno sentire ed è ora di riposarsi e riscaldarsi. Tiro fuori le mie provviste avanzate: tre scatolette di tonno, un succo di frutta pera e limone e una bustina di uva passa. Il tonno è ghiacciato, alla Rio Mare una volta dichiaravano che si taglia con un grissino, ma qui è a malapena sufficiente il mio coltellino svizzero. L'olio, congelando, è diventato opaco, di un solido color panna, fa impressione. Lo mandiamo giù a grossi tocchi, senza nemmeno aspettare che si sciolga in bocca. Il succo di frutta, lasciato per un po' sotto i raggi del sole tiepido, è quasi liquido, ma mandarlo giù a zero gradi è una sofferenza. Per fortuna l'uvetta non ha risentito della temperatura e la mangiamo con piacere, approfittandone per tirare il fiato e fare quattro chiacchiere rilassanti. ![]() Puntuale come un orologio svizzero, arriva a parcheggiare di fianco a noi Antonio con la sua Goldwing e il figlio di scorta con la BMW. Mancano venti chilometri a casa sua, ma si è voluto fermare ugualmente per gustarsi un caffè italiano come si deve, dopo tre giorni di astinenza. La nostra sosta ci ha ritemprato, ormai il tratto di strada più difficile è alle nostre spalle e siamo pronti per quello che ci resta. Si riparte tutti assieme, il resto della A22 non fornisce particolari degni di nota se non il sole negli occhi, peccato che i miei occhiali da sole non si riescano ad infilare all'interno del sottocasco. All'incrocio con la Milano Venezia Stefano mi accosta e mi saluta: lui proseguirà per Modena, Bologna e Pesaro, io invece svolterò verso ovest in direzione Milano. Mi mancherà la sua presenza rassicurante negli specchietti. Per questi ultimi centocinquanta chilometri provo a sintonizzare la radiolina su Isoradio e ad ascoltarla tramite l'auricolare all'interno del casco. Il risultato è disastroso. La frequenza oscilla in continuazione e tutto quello che ricevo nell'orecchio è una serie di parole gracchianti su un continuo rumore di fondo che mi fa presto venire un gran mal di testa, ma devo aspettare fino al successivo autogrill per potermi fermare e strapparmi l'auricolare di dosso. Mi sorpassano ancora tre motociclette reduci dall'Elefante, ma saranno le ultime che vedrò, a questa distanza da Solla. Dopo Bergamo, e soprattutto sulla tangenziale est, il traffico aumenta leggermente, e faccio appello a tutta la mia concentrazione per non correre alcun rischio, ora che ormai è buio pesto. Ho rallentato l'andatura fino sotto ai cento all'ora e mi godo il tepore dei meno quattro gradi di temperatura, che dopo questi ultimi giorni adesso mi sembrano i Caraibi. E' l'ora di cena quando parcheggio di nuovo la Transalp davanti al portone di casa, a San Donato. Sono ore che mi sogno questo momento, mi prendo giusto un minuto per inviare agli amici più cari un SMS con su scritto semplicemente Back and alive: loro sanno già tutto, e attendevano la notizia con impazienza. Salgo in casa e deposito il casco, riempio un secchio di acqua calda e un rotolo di carta assorbente da cucina. Scendo di nuovo, con ancora indosso il k-way e la ridicola pettorina gialla riflettente. Mi accingo con pazienza a ripulire accuratamente la moto da tutto il sale che ha accumulato in questi oltre millecinquecento chilometri. So che se lascerò trascorrere la notte, poi non avrò più tempo né voglia di fare questo lavoro. Mi ci vuole un'ora e mezza. E so che ancora il lavoro non è completo, ci sono un milione di intersizi dove le mie dita ingrossate dal freddo non riescono ad arrivare e che conto di pulire con la pompa, a casa a Grottaferrata. Parcheggio la Transalp in modo che non dia fastidio, bloccadisco e catena, poi finalmente salgo in casa per davvero. ![]() Mi spoglio e accumulo per terra tutti i vestiti che mi tolgo: alla fine la pila che ne risulta è impressionante. Per curiosità faccio il censimento di tutti gli strati che avevo indosso: maglietta di lana; maglietta in micropile; pullover a maniche lunghe; maglione a collo alto; pile azzurro e bianco; pile rosa; back protector; giacca da moto con protezioni e imbottitura invernale; k-way; pettorina gialla catarifrangente; calzini di seta; calzettoni pesanti; stivali da moto; boxer; calzamaglia; pantaloni da moto; copri-pantaloni impermeabili; sottocasco; casco. A parte il back protector, la pettorina gialla e il casco, tutti gli altri sono i vestiti che ho indossato ininterrottamente per tre giorni. Diavolo, e nonostante tutto ho patito il freddo! L'ironia della sorte è che fin dal giorno successivo al termine del raduno, le temperature a Solla si sono immediatamente alzate, arrivando fino agli zero gradi, pur con leggere nevicate. Se non altro, abbiamo avuto la fortuna di trovare le strade pulite, sia in Germania che in Italia: se penso che l'anno scorso, proprio nello stesso fine settimana sul passo della Futa sono rimaste bloccate migliaia di automobili (e le decine di motociclette dirette all'Elefante) in autostrada per la neve, quest'anno possiamo ben dire che ci è andata bene. Dalla pila di vestiti emana l'infondibile profumo del fuoco di legna, che ben presto riempie la casa. Mi piacerebbe terribilmente fare un bel bagno bollente, ma l'acqua che esce dal rubinetto della vasca per qualche inspiegabile motivo è appena tiepida, e allora mi devo accontentare di una doccia, anche se è dura togliere l'odore del fumo dalla pelle e dai capelli. Mi preparo qualcosa da mangiare e faccio appena in tempo ad infilarmi sotto alle coperte prima di addormentarmi. ![]() Sono questi per me gli ultimi giorni di viaggio. La base della moto è Grottaferrata, mio padre ne ha bisogno giornalmente per andare al lavoro e la devo portare di nuovo giù. Mi sento tranquillo, la moto è in ottime condizioni (a parte la batteria) e sono sicuro che l'unico inconveniente del viaggio sarà la noia. Parto il venerdì sera dopo il lavoro, non ho nessuna possibilità di arrivare a Bologna a casa dei nonni in tempo per la cena, e allora me la prendo comoda, assicurandomi di non dimenticare nulla. Non c'è nebbia, e per fortuna, una volta abbandonato l'hinterland di Milano, non c'è nemmeno molto traffico. La temperatura si mantiene intorno ai quattro sottozero, ma ormai mi fa il solletico. Arrivo verso le nove, mi aspetta un piatto di tortellini fumante inframmezzato dal racconto del viaggio ai nonni, omettendo ovviamente la descrizione delle sofferenze patite: loro non capirebbero (e forse non avrebbero tutti i torti). Ho un po' di amici a Bologna con i quali potrei uscire, ma questa sera preferisco rimanere a chiacchierare con i nonni e poi andare a letto presto. La mattina dopo sono in strada di buon'ora. Faccio benzina subito dopo la partenza, poi non mi fermerò più fino alle porte del Lazio, dove intavolerò una chiacchierata con il gestore della pompa, che possiede anche lui una Transalp e ci vorrebbe andare a Capo Nord con sua moglie, il prossimo giugno (beato lui che si può prendere le ferie a giugno). Arrivo a casa in tempo per il pranzo. Accendo il GPS e segno il punto esatto: N 41°47.311', E 12°40.799' . Ho percorso 2785 chilometri da quando sono partito, e se il contachilometri della Transalp non si fosse rotto per tre volte adesso segnerebbe 92461: non conosco molte altre moto che possono vantare un tale stato di forma alla soglia dei centomila.
L'indomani mi attende un nuovo, accurato ciclo di lavaggio, per assicurarmi che tutto il sale venga rimosso dalle parti di metallo e gomma che potrebbe corrodere. L'ultimo episodio di questo incredibile viaggio è stata la rimozione del (peraltro orribile) braccialetto di plastica arancione di ingresso al raduno, che ho tenuto indossato come un ricordo fino all'arrivo a Grottaferrata. Oggi è il 12 marzo. Il polpastrello del mignolo sinistro è ancora parzialmente insensibile (ma sta lentamente migliorando). E' passato un sacco di tempo, un milione di impegni mi hanno impedito di completare il report prima di oggi, ma sono sicuro di non aver dimenticato niente. Fin dall'inizio della stesura mi sono fatto prendere la mano, e il risultato è un report forse eccessivamente prolisso, ma non avrei potuto farlo più breve, non sarei stato capace di omettere anche uno solo degli episodi di cui sono stato protagonista, una sola delle sensazioni che questa esperienza mi ha dato. A mente fredda, è il momento di tirare le somme. Sono contento di averla fatta, questa esperienza, davvero. Se penso a quanto ci ero rimasto male l'anno scorso, quando ho dovuto rinunciare all'ultimo momento, quando avevo già praticamente la moto carica di bagagli... Valutando a posteriori, il giorno di lavoro perso non è dopotutto un danno così grande. Quando si lavora, sembra che il tempo non basti mai, che anche un solo giorno perduto sia irrecuperabile e conduca alla catastrofe, ma ovviamente non è così. Il mondo può andare avanti benissimo senza di me, e col tempo tutto si riassorbe e tutto si dimentica, confondendosi con mille altre giornate uguali. Sono invece giorni come questi di viaggio che si ricorderanno a lungo, probabilmente per tutta la vita, ed è questo il motivo per cui ne vale sempre assolutamente la pena. D'altro canto, non sono sicuro che, dovessi tornare indietro, lo rifarei. Tutti questi chilometri di autostrada noiosissima, tutto questo freddo, e il rischio di danneggiare la moto forse non valgono il soddisfacimento di un'Idea, del semplice atto di presenza, dell'orgoglio di poter dire (a chi, poi) "sono stato all'Elefantentreffen", perché la cosa che ho apprezzato maggiormente di questo raduno non è stata l'organizzazione, e nemmeno il viaggio, ma la compagnia, e quella l'avrei potuta trovare anche molto più vicino a casa. Anche se ci è voluto il canto delle sirene di Solla per attirarci fino là e compattarci, nella sofferenza e nella solidarietà. L'anno prossimo sarà il cinquantesimo anniversario, e già da tutta Europa i motociclisti si mobilitano per essere presenti e ritrovarsi, in ben più di diecimila, stavolta. Non credo che ci sarò. C'è che si fa un punto d'onore nell'essere presente a tutte le edizioni nel corso degli anni, nell'attaccare il maggior numero di adesivi sulla propria moto (e, di conseguenza, impedirsi di cambiarla). Ma per me questa è un'esperienza già fatta, già conosciuta e apprezzata, il ritorno nei prossimi anni non mi darebbe più la stessa soddisfazione, la stessa sensazione di conquista. Come si diceva, cazzeggiando liberamente davanti al fuoco del sabato pomeriggio, visto che il nord in pieno inverno l'abbiamo smarcato, ora il naturale completamento dell'avventura è nei cinquanta gradi del Marocco in piena estate. Oppure la vera avventura potrebbe essere mettere la testa a posto e dedicarsi a viaggi più tranquilli e sereni, senza essere spinti sempre da questa maledetta irrequietudine che in molti casi mi impedisce di godere dei piaceri di una vacanza più rilassante, anche non in moto. Ma tutto questo lo scoprirò io stesso entro pochi mesi, in occasione del prossimo viaggio. Per la prima volta in un viaggio non ho praticamente nessuna fotografia mia. Le foto pubblicate sono state gentilmente fornite da:
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